Dopo le prime piogge autunnali e le temperature ancora alte, l’esercito dei cercatori di funghi si mobilita, spinto da un sommesso passaparola che dà notizie di avvistamenti.
Dotati di stivali, bastone e cestino si insinuano nei boschi, sul substrato di foglie che assumono colorazioni mimetiche, dove ogni tenue protuberanza viene intuita come una preda, ingannati dalla variegata gamma di colorazioni tra il marrone e l’oro che assume il fogliame delle piante decidue in questa stagione.
Nella discreta penombra trafitta dai biondi raggi, tra ciclamini in fiore, rosse bacche ammiccanti su cespugli di agrifoglio e pungitopo e lucide castagne occhieggianti dai ricci spinosi, le radure illuminate e arieggiate e le fasce di confine coi prati, offrono l’habitat a questi tesori autunnali, ambiti da raccoglitori in costante aumento.
Ritenuti vegetali fino al secolo scorso, comprendono più di 100.000 specie che costituiscono il regno dei Funghi, nella classificazione dei cinque regni biologici definita da Robert Whittaker nel 1968.
Il raffronto della funzione nutritiva tra vegetali e funghi rappresenta il cardine di questo recente criterio tassonomico. I primi si nutrono di sostanze inorganiche che assorbono con l’acqua dal terreno, trasportata dalla linfa fino alle foglie dove la clorofilla, sotto l’azione catalizzatrice della luce solare, la combina con l’anidride carbonica atmosferica creando sostanze organiche complesse (zuccheri, cellulosa, lignina) ed emettendo ossigeno.
I funghi, viceversa, sono sprovvisti di sistema vascolare linfatico e di clorofilla, devono quindi nutrirsi di sostanze già elaborate, assorbendo il carbonio (elemento fondamentale delle sostanze organiche) da organismi vegetali o animali, vivi o morti, attraverso le loro pareti cellulari costituite da chitina (e non da cellulosa come nelle piante verdi). I funghi quindi sono più vicini agli animali che alle piante sotto il profilo biochimico e non necessitano della luce per vivere.
La riproduzione avviene per via sessuata: la spora germinata emette un esile filamento, ifa, composto da cellule che rapidamente si ramificano nella rete del micelio primario, che intersecandosi con altro micelio di sesso opposto produce il micelio secondario (il vero fungo) su cui si formano i talli, capaci di vita vegetativa, che fuoriescono dal substrato per concludere lo sviluppo e giungere a maturazione col carpoforo, corpo fruttifero portatore di spore (equivalente del frutto portatore di semi per i vegetali), e che solitamente chiamiamo fungo. Le spore sono contenute nell’imenio collocato nella parte inferiore del cappello e cadono a terra staccandosi dalle lamelle o dai tubuli.
Raccogliere i funghi in modo sistematico e indiscriminato o strappare il micelio comporta l’impoverimento della flora micologica e perfino l’estinzione di alcune specie con alterazione dell’equilibrio biologico. Questi organismi, essendo in grado di decomporre i resti animali e scindere la cellulosa nei componenti iniziali (azoto, carbonio, idrogeno e ossigeno), svolgono infatti un ruolo cruciale nell’ecosistema, esplicando un’azione utile e necessaria mediante le loro tre modalità di nutrizione.
I simbionti attivano una relazione utile con l’essenza arborea ospite avvolgendo le ife del micelio alle estremità radicali della pianta attuando uno scambio di sostanze tra i due organismi: il fungo assorbe dalla pianta le sostanze organiche che non può sintetizzare e la pianta, avendo aumentato il proprio apparato radicale, può assorbire acqua e sostanze minerali anche a distanza dalle sue vere radici. Questo fenomeno, detto micorriza, dona alle piante d’alto fusto uno sviluppo più rigoglioso e più resistente alle malattie e ai parassiti, e ormai da tempo viene applicato nei rimboschimenti forestali.
I saprofiti vivono sui cascami vegetali o nell’humus del terreno alimentandosi di rami e foglie in decomposizione, che altrimenti soffocherebbero la vegetazione fino a farla morire, e contribuiscono a concludere il ciclo naturale del carbonio, presente in tutti i composti organici. I funghi parassiti attaccano piante ammalate, portandole spesso alla morte, attuando il principio della selezione naturale delle specie, liberando spazio per le piante sane.
I macromiceti, cioè i funghi morfologicamente provvisti di cappello, gambo, lamelle (tubuli o aculei), anello, volva, sono l’oggetto del desiderio del micologo dilettante al quale non si raccomanderà mai abbastanza di raccogliere esclusivamente gli esemplari della cui commestibilità è certo, diffidando totalmente di tutti i metodi empirici tramandati dalla credenza popolare, priva di fondamento scientifico, per verificarne la commestibilità. È anche sconsiderato farli mangiare al gatto, che è dotato di un diverso metabolismo e vomita il cibo che percepisce come tossico.
Il riconoscimento va effettuato in primis con l’analisi dei caratteri distintivi morfologici (forma, colore, dimensione), organolettici (odore, sapore), chimici (viraggio della carne), ecologici (habitat) e infine, se necessario, con lo studio di quelli microscopici. La massima ispiratrice sia “nel dubbio astieniti!”.
Nonostante non siano molte le specie velenose (amanita phalloides, verna e virosa, cortinarius orellanus, galerina marginata, lepiote di piccola taglia), tuttavia tutte contengono tossine in quantità variabili che possono rendere un carpoforo tossico a causa di svariati fattori: quantità ingerita e frequenza del consumo, cattivo stato di conservazione degli esemplari raccolti, modalità di cottura, stato generale di salute del consumatore, intolleranza individuale.
È buona norma far controllare i funghi raccolti dagli ispettori micologici presso il Servizio Igiene alimenti e nutrizione della Asl e non alterarne la commestibilità conservandoli in contenitori rigidi e areati, posti in luogo fresco.
Gli avvelenamenti sono a lunga o a breve latenza. Le sindromi del primo tipo, causate da sostanze citotossiche che producono lesioni organiche, sono: s. falloidica con compromissione della funzionalità epatica a rischio di trapianto o esito letale; s. orellanica che genera insufficienza renale acuta a rischio emodialisi; s. giromitrica con danni epato-renali, disturbi neuropsichici e visivi, arresto cardiaco, morte; s. paxillica arreca disturbi gastrointestinali, grave anemia, collasso e possibile morte; s. rabdomiolitica con astenia, eritema al volto, sudorazione, nausea, urine arrossate.
Al secondo tipo vanno ascritte: s. muscarinica che arreca danni al sistema nervoso centrale e dà sudorazione, lacrimazione, vomito, disidratazione, tremori, restringimento della pupilla, collasso cardiocircolatorio; s. panterinica provoca disturbi neuropsichici, non coordinamento dei movimenti, eccitazione o depressione del sistema nervoso centrale; s. psicotropa rivelata da tremori, vertigini, allucinazioni visive e olfattive, stato onirico, mania suicida; s. coprinica, causata da consumo di coprinus atramentarius contestuale ad assunzione di alcool, provoca palpitazione, cefalea, nausea e vomito; s. resinoide dovuta a tossine che irritano la mucosa gastrica provocando vomito e diarrea.
A volte si presentano disturbi anche ingerendo funghi di attestata commestibilità a causa della difficoltà di assorbimento nell’uomo della chitina che riveste la parete cellulare dei funghi e della micosina. Per aumentarne la digeribilità, vanno infatti sempre consumati cotti.
Per effettuare la raccolta è obbligatorio il tesserino regionale rilasciato a chi è in possesso di un attestato di frequenza di un corso di formazione micologica, sempre nel rispetto delle limitazioni e dei divieti imposti dalle singole leggi regionali nel proprio territorio.
L’uso gastronomico è antichissimo e in Italia molto diffuso tanto che il mercato italiano è invaso da porcini di scarso pregio provenienti dai boschi europei. Ricchi di sali minerali e proteine, non contengono glucidi e sono adatti a un regime ipocalorico.
Egiziani, babilonesi, greci e romani conoscevano i funghi velenosi e quelli eduli, molto apprezzati. Orazio in una delle Satire decanta i prataioli come funghi pregiati. Plinio il Vecchio nella “Naturalis Historia” dedica ai funghi interi capitoli definendo l’ovulo e il porcino delle leccornie e ne descrive la preparazione, che i padroni non affidavano agli schiavi ma curavano personalmente usando stoviglie d’argento e posate d’ambra. Riferisce anche che l’imperatore romano Claudio fu avvelenato con i funghi dalla moglie Agrippina.
Alberto Magno, dottore della Chiesa e cultore delle scienze naturali, fu il primo a fornire nel XIII sec. la descrizione di un avvelenamento.
Le popolazioni americane precolombiane conoscevano l’effetto dei funghi allucinogeni che utilizzavano nelle pratiche magiche, mentre i cinesi li avevano inseriti nella loro farmacopea.
A Roma, dal 17 al 19 novembre l’Associazione Nuova Micologia insieme al Comune di Roma, organizza l’XI Mostra micologica “I funghi e l’ambiente” nella quale oltre alla presentazione delle singole specie identificate e classificate anche in base alla commestibilità, i carpofori sono collocati nel loro ambiente ricostruito all’interno dell’Arancera del Semenzaio di S. Sisto, a Porta Metronia.
Testo e foto di Tania Turnaturi