Oggi facciamo tappa in Veneto, une delle tante bellissime regioni italiane che vi consigliamo di andare a visitare non appena ci saremo lasciati il periodo delicato alle spalle. Buona lettura!
A cura di Tania Turnaturi
La conoscenza dell’origine e sviluppo della civiltà industriale passa attraverso lo studio dell’archeologia industriale a Schio, capitale dell’industria laniera alla fine dell’Ottocento, definita la Manchester italiana. Già sotto la Repubblica di Venezia, Schio era un importante centro di produzione laniera, tanto da meritarsi nel 1701 la concessione della produzione dei “panni alti”, tessuti pregiati che richiedono lane di qualità. Nel 1718 il veneziano Nicolò Tron con la consulenza di tecnici inglesi inizia a produrre tessuti leggeri, le “londrine” per i mercati del Levante e i “panni mischi” per quello locale. L’arte laniera, per l’abbondanza di acqua e di materia prima, conosce un’espansione crescente: intorno alla metà del Settecento vengono prodotte oltre 600 pezze per il mercato estero che balzano a 16.000 alla fine del secolo, con 550 telai attivi.
Ricca e operosa anche grazie alle esenzioni daziarie concesse fin dal 1755, la città vede aumentare la sua popolazione e si arricchisce di palazzi signorili. L’insediamento di manifatture che svolgono l’intero processo produttivo contiene i prodromi della rivoluzione industriale che raggiungerà l’acme con Alessandro Rossi. Ma i vincoli doganali imposti nell’epoca napoleonica e asburgica provocano un lungo periodo di decadenza economica e sociale. Ereditata nel 1849 l’industria laniera fondata nel 1817 dal padre Francesco, Alessandro Rossi avvia investimenti per aumentarne la capacità produttiva potenziando gli impianti esistenti e introducendo innovazioni tecniche. Fa edificare il nuovo Lanificio Francesco Rossi, la cui facciata neoclassica prospetta su via Pasubio, adibito ad uffici amministrativi dal 1967 quando l’attività viene trasferita nel polo industriale fuori dal centro abitato, che reca inciso il nome del fondatore e la data di nascita dell’impresa. Lo fronteggia il Giardino Jacquard (dedicato all’inventore del telaio automatico), sorto sugli opifici di Nicolò Tron, dove vengono ubicati gli asciugatoi, stenditoi, la tessitura Jacquard e gli orinatoi per il recupero dell’ammoniaca. Il giardino è destinato anche allo svago e al benessere fisico degli operai, ricco di specie arboree ed essenze esotiche, oggi purtroppo lasciato all’incuria. Il processo di rilancio dell’economia scledense trasforma la Lanerossi nella maggiore azienda laniera al mondo con l’introduzione della filatura e tessitura della lana pettinata, che fino ad allora veniva importata. Deputato dal 1866, l’imprenditore sostiene una politica protezionista che tuteli i prodotti italiani e, con modernità visionaria, sviluppa un pensiero sociale attento e responsabile alla vita fisica e morale dei lavoratori, favorendone l’alfabetizzazione. Nel 1862 viene edificata la Fabbrica Alta, maestoso edificio in cotto e pietra lungo 80 m e largo 14, con immensi saloni suddivisi in campate da 125 colonne in ghisa, 330 finestre, 52 abbaini, accanto a cui si eleva la snella ciminiera sulla cui sommità è incisa la data di costruzione. Su ogni piano si svolge una fase di lavorazione della lana per abiti, coperte, filati: cardatura, filatura, spolatura, ritorcitura, tessitura, rammendo. Acquisito dalla Marzotto nel 1987 che ne sospende gli investimenti, lo stabilimento viene chiuso nel 2005. Nel 2013 il complesso e il Giardino Jacquard vengono acquisiti dal Comune.
Questa visione rivoluzionaria che pone il lavoratore al centro di un concetto produttivo umanistico, modifica l’urbanistica della città, che si amplia con il nuovo quartiere operaio realizzato tra il 1872 e il 1896 per dare una soluzione abitativa alle maestranze. Su uno schema viario rettilineo e ortogonale sorgono le quattro tipologie di abitazioni ispirate al modello belga: villini con ampio giardino per dirigenti e tecnici, case unifamiliari circondate dal giardino, abitazioni a schiera di terza e quarta classe per gli operai, uniformi architettonicamente ma differenziate dalle decorazioni, dai balconi e dal colore (giallo, rosso, ocra, azzurro), con servizi igienici, cantina, sottotetto e giardino. Le oltre 200 unità abitative, cedute a riscatto, raggiungono la maggiore densità nel 1890 con 1543 residenti. Affinché non diventi un dormitorio vengono edificate strutture ad uso sociale, quali le scuole elementari, la scuolaconvitto di orticoltura e pomologia per incentivare la modernizzazione agricola (adibita in seguito a fabbrica di cioccolato), la chiesa di sant’Antonio Abate, il teatro civico in stile liberty, l’asilo sulla collina che reca inciso l’aforisma ciceroniano “In puero spes”, il monumento al Tessitore detto l’Omo, posto di fronte all’ingresso del lanificio, oggi collocato sulla piazza del Duomo, il giardino pubblico e i bagni pubblici, il lavatoio, la ghiacciaia. Sull’arteria principale del quartiere il Villino Rossi in stile eclettico, tra palazzo urbano e villa di campagna con un ampio parco, è racchiuso da un muro di cinta in pietra, cotto e ciottoli di torrente. Acquisito nel 1935 dallo Stato fu sede della Casa del fascio, poi del catasto e oggi necessita di un intervento di recupero.
Sul tracciato della Roggia Maestra, il canale artificiale del torrente Leogra, un altro insediamento testimonia la vocazione industriale della città. Sorto nel 1757 per iniziativa di Antonio Conte, il lanificio svolge il ciclo completo di lavorazione, dalla garzatura agli stenditoi. Tra il 1866 e il 1884 assume la connotazione di impresa industriale moderna, sulla scia dell’impulso generato dall’attiguo lanificio Rossi, ampliandosi con la struttura in cemento armato e vetro e capannoni a shed, finché alla fine del Novecento le lavorazioni vengono trasferite in altro stabilimento nella zona industriale. L’azione di recupero intrapresa nel 1988 lo rende fruibile per esposizioni e attività commerciali. Memoria dell’antica destinazione è la campana che segnalava i turni lavorativi, sulla facciata che prospetta nella vasta piazza dove è collocata la statua di Alvise Conte. La città, feudo di famiglie signorili nel Basso Medioevo, poi soggetta al dominio scaligero e dall’inizio del ‘400 Dominio di Terraferma della Serenissima, rivela il suo storico benessere economico nell’opulenza urbanistica degli edifici. Palazzo Garbin è sede del Comune, il palladiano Palazzo Fogazzaro è sede della Collezione Civica, la neogotica facciata della Casa dei Canarini della famiglia Bottari è decorata da un ricco apparato pittorico, il villino Panciera, il cui giardino è stato assorbito dall’ampliamento della Lanerossi, è in stato di degrado. Sul colle Gozzone si erge l’imponente duomo in forme neoclassiche.
Nella Sala delle Turbine del Lanificio Conte inondata dalla luce della copertura shed, a fine settembre la Mostra mercato delle orchidee a cura del Gruppo orchidofilo Giardino Jacquard è un tripudio di sofisticati fiori, dalle familiari phalenopsis che evocano variopinte farfalle alle specie rare dai minuscoli fiori che la giuria AIO deve valutare con perizia botanica e passione amatoriale per proclamare la vincitrice del concorso tra quelle esposte provenienti da collezioni private, associazioni e produttori italiani e stranieri. Il professor Franco Bruno, Ordinario di Botanica all’Università Sapienza di Roma, nell’ambito degli eventi della 13ª edizione, ha fornito preziosi consigli scardinando credenze sedimentate, per coltivare le orchidee imparando a conoscerne la struttura e le funzioni. La medaglia d’oro è stata conquistata da un esemplare unico al mondo di Angraecum subulatum, mentre la menzione botanica è stata appannaggio di una Diplocaulobium chrysotropis.
Il presente articolo è tratto dalla nostra rivista GRATUITA Turismo all’Aria Aperta del Gennaio 2019.