4413 chilometri percorsi con destinazione Turchia per scoprire cultura ed abitudini di un popolo che ha dominato il Mediterraneo per 400 anni, assaporando le magiche atmosfera di questi luoghi.
Turchia – Da Istanbul e Efeso
Camper: CI Triganò semintegrale Elliot 55-P del 2006 su Fiat Ducato 2800 turbodiesel.
Equipaggio: Giuseppe e Anna.
Mete: Istanbul e dintorni.
Periodo: dal 3 al 27 agosto 2011.
Km. percorsi: 4.413, compreso lo spostamento Nola-Bari-Nola ed i giri a vuoto.
Diario di viaggio
Premessa
E così, dopo la tragica esperienza dell’anno scorso, quando abbiamo fuso il motore del Laika e pochi chilometri da Belgrado ed il ritorno a casa è stata una vera e propria epopea, quest’anno, giusto perché un vero camperista non demorde, abbiamo messo da parte l’Ungheria ed abbiamo puntato direttamente a sud, verso mete già pensate negli anni addietro ma che avremmo preferito affrontare in compagnia, anche per la poca affidabilità di un veicolo ormai vecchiotto e che ogni anno tira fuori un malanno diverso.
Vero è che dei meccanici turchi mi hanno riferito cose egregie, ma fermarsi dal meccanico, ovunque accada, non è mai una cosa allegra. Ora col nuovo camper, usato ma in ottime condizioni, decidiamo di avventurarci in Turchia ed a farci superare ogni ci remora ha pensato nostra figlia la quale, saputa la cosa, ci ha regalato un’ottima guida di questo paese, quella scritta da chi viaggia a piedi e quindi non tanto adatta a chi viaggia in camper ma ricca di particolari utili.
Nel tempo avevano collezionato entusiastici commenti sull’ospitalità dei turchi, sui siti archeologici ben tenuti e sulle stupende località della Turchia interna, ma il breve tempo a disposizione non ci avrebbe consentito di spaziare molto.
Inoltre, dovendo attraversare un paese del tutto nuovo, s’era pensato a tragitti non molto impegnativi così da avere la possibilità di una rapida e dignitosa retromarcia in Grecia, che ormai conosciamo bene quasi tutta, dove sicuramente ci saremmo trovati a nostro agio. Meta principale, quindi, Istanbul e poi giù a sud per località marine, senza un programma particolare, come sempre.

- 1. Da Nola a Bari, km. 237
- 3 agosto
Partiamo da Nola (luogo di residenza, a circa 25 km da Napoli, nostro paese d’origine) alle ore 13.00 circa, in puntuale ritardo rispetto a quando avrei preferito. In effetti abbiamo tutto il tempo che vogliamo e le navi greche partono sempre in ritardo ma non posso dimenticare quella volta che mi scoppiò una ruota della roulotte in autostrada e non avevo quella di scorta; dovetti quindi uscire e procurarne una in tutta fretta e proprio quella volta la nave partì in perfetto orario e per poco non restavamo a terra.
La compagnia di navigazione scelta era la prima disponibile per chi prenota pochi giorni prima, la VENTOURIS, e la nave era la stessa che avevamo preso due fa per il trasferimento in Grecia e poi da lì a Creta; allora era già un catorcio ed ora era un catorcio con due anni di più. A noi, fortunatamente, degli alloggi e della cucina, di cui molti si lamentavano, poco ci interessava, giacché viaggiavamo in open deck avendo per tetto un cielo di stelle.
Altre compagnie, sempre greche, come L’AGOUDIMOS e la SUPERFAST sono ottime ma hanno un open deck che di open ha ben poco e si viaggia in un forno crematorio. Quindi non ci accontentiamo e non ci lamentiamo. Arriviamo in orario e ci fanno salire subito a bordo e da lì assistiamo al carico dei camion. Ne caricano tanti che a un certo punto mi sono domandato dove li mettessero.
Poi me ne sono reso conto: non c’era un centimetro per passare tra un mezzo e l’altro ed era più facile passarci sotto, ai camion, che non in mezzo; erano parcheggiati anche sulle rampe che da un ponte portano a quello superiore (rampe a ponte levatoio che di regola, in navigazione, dovrebbero restare chiuse). Da questa situazione deduco che saremmo sbarcati nell’ordine inverso e quindi saremmo scesi per ultimi.
E così sarebbe successo! A bordo siamo sistemati fortunatamente “vista mare” e scambiamo quattro chiacchiere con una coppia di romani diretti anch’essi in Turchia; la prospettiva di fare il viaggio insieme, per lo meno fino alla frontiera, mi alleggerisce la preoccupazione di affrontare da solo i problemi che altri mi hanno raccontato.
- 2. Da Igoumenitsa ad Asprovalta, km. 407
- 4 agosto
Durante la notte ci sorpassano un’infinità di traghetti. Il nostro, sovraccarico, arranca. Alle prime ore dell’alba il traghetto attracca a Corfù e poi a Cefalonia e quindi a Igoumenitsa, dove arriviamo con un ritardo non eccessivo, ma non avevano dimenticato la prospettiva di scendere per ultimi. In genere non appena si apre un varco tra i camion fanno subito scendere i camper; stavolta, forse per un qualche inghippo che non conosco, per scendere abbiamo impiegato ben tre ore!
Era nostra intenzione andarci a fare un bagno a Parga, piacevole località distante una cinquantina di chilometri da Igoumenitsa, ma il forte ritardo non ce lo consente, anche perché lì il camper bisogna lasciarlo lungo la strada, laddove c’è un ampio spazio per far fare manovra ai pullman, per arrivare al mare dopo una breve passeggiata tra i vicoletti del paesino.
Arrivare in ritardo avrebbe significato incontrare problemi di parcheggio, sia per la larghezza della sede stradale, che man mano si stringe, sia per la conseguente maggiore distanza dal mare. E così raccogliamo il suggerimento dei romani e ci spostiamo a Drepano, che è la spiaggia di Igoumenitsa, pochi chilometri a nord, verso l’Albania, che da qui dista poco.
Troviamo subito il mare Ionio cui siamo abituati. Una bella spiaggia, ovviamente libera e con docce gratuite; una vasta zona alberata immediatamente alle spalle, dove posare il camper all’ombra e dove poter pranzare all’aperto; le immancabili taberne dove si mangia in fretta e si paga poco. Facciamo quindi il primo bagno.
L’intento dei romani è quello di partire subito dopo pranzo e così il pranzo decidiamo di consumarlo alla vicina taberna, dopo assaporiamo subito le pietanze tipiche della cucina greca: insalata greca, calamari fritti, souvlaki (spiedini), saganaki (formaggio fritto), ecc.; il servizio, però, lascia un po’ a desiderare perché non si rivela tanto celere e solo alle 16.00 riusciamo a lasciare il locale.
Per rimetterci in sesto buttiamo giù un buon caffè napoletano e alle 16.30 lasciamo Drepano, raggiungiamo Igoumenitsa ed imbocchiamo subito l’autostrada per Ioannina e poi Tessalonica. Le autostrade greche, per lo più gratuite, sono prive di aree di servizio ma lungo la strada ci sono cartelli che indicano la distanza dal distributore più vicino.
Questi cartelli, però, sono poco più grandi di un foglio A4 e non sempre li si vede e li si legge a tempo, specie se si fila ad una certa velocità nell’intento di superare Tessalonica prima del buio. Lungo la strada effettuiamo una sola sosta, presso un distributore a poche centinaia di metri dall’uscita dell’autostrada, dove facciamo anche il carico d’acqua gratuitamente, come al solito.
Arriviamo a Tessalonica quando purtroppo è già buio ma decidiamo di tirare avanti e ritardare la cena per trovare un posto dove poter anche passare la notte. Superiamo Tessalonica e i vicini laghi e dirigiamo verso Kavala, bella cittadina non molto distante dalla frontiera con la Turchia, ma non saremmo arrivati fin lì.. Ormai stanchi percorriamo la litoranea per trovare quel che faccia al caso nostro e alla fine ci fermiamo nel posto sbagliato.
Avevamo infatti adocchiato un’enorme spiazzo fronte mare, immediatamente a ridosso del paese di Asprovalta, dove già c’erano diversi camper, ma gli altri camperisti – che infatti stavano sbaraccando – ci fanno capire che la polizia aveva dato loro un’ora di tempo per andare via (in Grecia fanno sempre così, perché il campeggio libero è vietato, ma con la polizia ci si può ragionare e se il camper viene usato come veicolo, senza sbandierare verande e senza allestire tavolini ed altre suppellettili, non ci sono problemi).
Asprovalta, però, è un paesino molto turistico e pieno di locali e noi, in buona sostanza, c’eravamo piazzati in quello che era il parcheggio della movida locale. Fatto sta che gli automobilisti greci, che sono alquanto imbranati e un po’ strafottenti, avevano occluso l’uscita dal parcheggio quindi ormai non potevamo più uscirne e come noi anche altri equipaggi che s’erano attardati nel fare i bagagli. Nel frattempo un francese con un Cartago di svariate tonnellate tenta di uscire dal parcheggio passando per la spiaggia, e lì rimane.
Quando arrivano i poliziotti, constatata la situazione, ci consentono di rimanere e danno al francese le indicazioni necessarie per trovare un carro gru che lo tiri fuori dalla sabbia. Il francese non si scompone più di tanto e quando gli offriamo il nostro aiuto per cercare di tirare fuori il mezzo, almeno sollevandolo perché s’era praticamente infossato, ci risponde che il suo crik non ce la fa a sollevare quel peso e quindi è inutile darsi da fare. Mi sono domandato cosa avrebbe fatto nel caso in cui avesse forato una gomma!
- 3. Da Aprovalta ad Alexandroupoli, km. 259
- 5 agosto
Il mattino dopo, di buon’ora, il francese torma col carro attrezzi il quale, nel tentativo di tirarlo fuori dalla sabbia, spezza il cavo d’acciaio; fortunatamente nessuno era nel raggio d’azione della relativa “frustata”, altrimenti sarebbe stato tagliato in due. Nostro malgrado dobbiamo abbandonare il francese, che comunque non si scompone neanche un po’ e subito si dirige al posto di polizia per farsi indicare un carro attrezzi più energico.
Salutiamo anche l’altra coppia di francesi che avevano fatto da interpreti (perché parlavano perfettamente italiano) e salutiamo i romani che avevano premura ed avevano già scaldato il motore. Svanita la prospettiva di attraversare la frontiera in compagnia, decidiamo di fare le cose con calma, anche per vedere meglio un tratto di costa che ricordavo molto bello, quando nel 2006 eravamo andati sull’isola di Tassos.
E così bighelloniamo fino ad Eleftheroupoli, dove facciamo il bagno (km. 72), a Porto Lagos (km. 84), dove ci fermiamo a pranzare in un boschetto attrezzato ma pieno di zingari, a Fanari (km. 14), e quindi ad Alexandroupoli (km. 89), dove cerchiamo il campeggio comunale di cui avevamo sentito parlare. Sono ormai le 20.00 e dobbiamo trovare una sistemazione.
Il campeggio non lo troviamo (lo avevamo a 150 metri ma non ce n’eravamo accorti) e quindi ci fermiamo in un ampio e tranquillo parcheggio vicino al campo sportivo, ad un centinaio di metri dal vivacissimo lungomare pieno di localini simpatici. La città è piacevole e nel parcheggio pernottiamo bene. Passano anche qualche auto della polizia che non ci fa alcun problema.
- 4. Da Alexandroupoli alla frontiera turca, km. 45
- 6 agosto
Mentre la città si risveglia, secondo i tipici ritmi greci, facciamo un po’ di spesa e quindi alle 8.00 partiamo e cominciamo a seguire i cartelli che indicano la Turchia. Intendevo arrivarci di buon mattino perché qualcuno m’aveva detto che per passare la frontiera ci volevano ore.
Arriviamo lì alle 9.00 e passiamo il confine in pochi minuti, senza alcun problema dopo ben tre controlli, superando i camion che restavano in fila. Lì effettuiamo il primo cambio in lire turche (Tl = Turkish lira; Tl 1,00 = € 0,42 circa) alle condizioni peggiori e pagando una commissione proporzionale alla somma cambiata.
La frontiera è il posto peggiore dove cambiare soldi ma le lire turche che si trovano facilmente (ancor meno dalle nostre parti) e quindi il primo cambio bisogna farlo per forza lì e inoltre, nel dubbio, bisogna cambiare la cifra sufficiente per arrivare al primo cento abitato dove si possano trovare agenzie di cambio. I cambi successivi, infatti, li avremmo fatti solo una volta ad Istanbul e poi a Selcuk, grossi centri dove le agenzie di cambio si fanno concorrenza e non prendono commissioni.
- 5. Dalla frontiera turca a Istanbul, km. 251
Passata la frontiera percorriamo svariati chilometri tra sconfinate piantagioni di girasoli Sul giallo dei girasoli spicca il rosso delle bandiere che i turchi, molto nazionalisti, piazzano esattamente dappertutto. I benzinai, in particolare, erano visibili a chilometri di distanza perché avevano tutti un gigantesco pilone sul quale sventolava la bandiera nazionale.
Se penso che la prima volta che andammo in Grecia notai che tutti gli edifici pubblici, dal municipio al più piccolo asilo nido, esponevano la loro bandiera e che la stessa cosa la fanno in tanti paesi mentre dai noi la celebrazione del 150° dell’unità d’Italia ha dato luogo ad infine polemiche, quasi mi vergogno.
Cominciamo a renderci conto dei paesaggi turchi: strade larghe ed infinite ma poco curate e che non consentono grandi velocità né consentono di superare il relativo limite che è molto basso (sulle statali è di 90 km/h, se non di meno in prossimità dei centri abitati, e in autostrada è 120 km/h ); sistema di viabilità inconsueto e non come quello europeo, fatto di incroci canalizzati, rotatorie, ecc.; i centri abitati sono molto urbanizzati ma senza infrastrutture e così si vedono agglomerati con palazzoni di 7-10 piani ma senza strade e poi chilometri e chilometri di campagne senza un’anima viva; i servizi di trasporto pubblico fuori città sono quasi inesistenti e prolificano i trasporti privati fatti con pulmini con pochi posti e con tanto di cartello che indica la provenienza e la destinazione, quasi come un mezzo pubblico.
Ci rendiamo poi subito conto che i turchi alla guida fanno “cose turche” e così non ci saremmo meravigliati più di tanto a vederli andare contromano in autostrada! Percorriamo la statale con l’intento di arrivare alla prima località marina, magari a Tekirdag, e lì fermarci a fare il bagno, ma saremmo rimasti delusi. Tekirdag è una metropoli e fermarsi lì con l’intenzione di fare un bagno si sarebbe rivelato improponibile.
Notiamo che i cartelli posti all’ingresso delle città recano, oltre al nome, la scritta “nufus” seguita da un numero. Avremmo poi appreso che quel numero indica la popolazione locale e così ci saremmo resi conto che i centri abitati di medie dimensioni hanno centinaia di migliaia di abitanti e le città con diversi milioni di abitanti non sono poche.
Riprendiamo quindi la via del mare, costeggiando il mar di Marmara, e notiamo che lì la costa è occupata da una fila interminabile di “sitesi”, ossia di villaggi privati, con tanto di guardie al cancello, senza lasciare un po’ di spazio tra l’uno e l’altro, così che è praticamente impedito l’accesso al mare. Forse un buco lo avremmo anche trovato per scendere a mare ma avremmo dovuto fare ispezioni, manovre, andirivieni e altre operazioni che avrebbero fatto perdere tempo senza che ne valesse la pena.
Per trovare una discesa a mare dobbiamo percorrere ben 177 km., fino a Silivri, piccolo paese costituito prevalentemente da case per la villeggiatura, dove riusciamo a trovare un polveroso parcheggio (otopark) al costo di 10 Tl e da lì raggiungiamo il mare, che ci lascia fortemente delusi: bassissimo e melmoso. Il mar di Marmara in effetti non è che un grande lago e se si presenta tutto come l’abbiamo visto in quella località non è per niente gradevole.
A Silivri abbiamo anche il primo impatto con la cultura islamica, quando vediamo le donne in spiaggia tutte intabarrate e per di più con veli neri, coperte dalla testa ai piedi, che fanno anche il bagno in quelle condizioni. Contente loro! Noi il bagno non lo facciamo, anche a causa di un vento insistente che solleva la sabbia polverosa e ci fa passare la poca voglia che abbiamo di tuffarci in quelle acque.
Pranziamo in fretta e dirigiamo direttamente ad Istanbul, che da lì dista meno di 80 km., sia via autostrada sia seguendo la statale. Imbocchiamo l’autostrada e lì ci capita la prima delle tante “cose turche”. E infatti l’autostrada la si paga all’ingresso e solo mediante scheda magnetica prepagata ma lì non c’è nessuno che la vende. Il casello, intanto, è posizionato dopo circa un chilometro dall’inizio dell’autostrada e fare retromarcia (sulla qual cosa i turchi non ci avrebbero pensato neanche due volte) è improponibile; manovre pazze ne ho fatte ma lì in Turchia non me la sento, bastano quelle che fanno i turchi.
E così, vedendo che anche altri che non hanno la tessera o che hanno esaurito il credito passano tranquillamente il casello, passo anch’io. Arriviamo a Istanbul e già prima del casello l’autostrada diventa non tanto diversa da una qualsiasi incasinata strada cittadina delle nostre parti: gente a piedi che l’attraversa come niente fosse; pulmini privati che fanno le fermate e caricano e scaricano gente in mezzo al traffico; auto contromano! Insomma c’è di tutto e di più e da lì cominciamo a vedere quanto la città di Istanbul sia immensa (si parla di più di 12 milioni di abitanti).
Lì abbiamo il secondo impatto con la cultura turca: tutti imbrogliano su tutto. In verità lo fanno con tanta naturalezza che alla fin fine può essere anche divertente. Mi viene in mente un aneddoto napoletano – che qui non racconto – che dimostra che mai nessuno può ritenersi più furbo di un altro ed anche il furbo resterà sempre nel dubbio di essere stato imbrogliato.
In prossimità dei caselli di Istanbul vedo dei ragazzi che fanno segno e sventolano le tessere autostradali. Conoscendo il sistema balordo, questi sanno bene che nella maggior parte dei casi lo straniero arriva al casello senza avere la tesse. Intuisco che, in pratica, ti pagano loro il pedaggio, ma a che prezzo? Diffido e fermo il camper prima dell’uscita e mi dirigo a piedi presso l’equivalente del nostro “Punto blu”, dove acquisto una tessera autostradale.
L’operatore, che sembra essere un poliziotto, mi fa capire che quello è il taglio unico (Tl 50) e che serve solo per uscire a Istanbul; ricordando quant’erano care la autostrade francesi e considerato che in Turchia il carburante costa più che in Italia, concludo che tutto sommato il prezzo, compresa la penale, non è poi tanto malvagio. In verità non c’eravamo capiti; e infatti al casello mi venne scalato solo il costo da Silivri a Istanbul, lasciandomi un credito che non sarei riuscito a consumare.
Imbocco il casello d’uscita e mi trovo nell’incasinatissimo traffico di Istanbul e pur avendo maturato le mie esperienze di guida nel traffico di Napoli, mi son sentito alquanto in difficoltà: sbucano auto dappertutto, da e per tutte le direzioni; il rispetto della segnaletica è un optional; la confusione è tale che non si riesce a capire se ci si trova in una normale corsia o di traverso rispetto ad essa.
Seguiamo le indicazioni per il SULTANAMET, dove c’è il meglio da vedere della Istanbul europea. Lì avremmo cercato l’area di sosta vicino ai “ristoranti di pesce”, segnalata dalle guide. Intravediamo finalmente il Bosforo e cominciamo a costeggiare il mare. Individuiamo il mercato del pesce e lì un ragazzo ci fa capire che a poche centinaia di metri c’è l’area di sosta.
Avremmo poi scoperto che il mercato del pesce era quello che va a costituire quelli che i turchi chiamano “ristoranti di pesce”; in pratica il mercato del pesce è annesso ad uno o più ristoranti; l’avventore compra il pesce ed indica il ristorante al quale deve essere portato per cucinarlo e il resto viene da sé.
Di fatto c’era un’area di sosta immediatamente dopo i ristoranti di pesce, meglio servita di quella nella quale ci saremmo fermati, ma era strapiena. Dopo scarsi 200 metri troviamo il parcheggio vista mare con alle spalle la Moschea Blu, una delle più belle di Istanbul, e lì ci fermiamo al costo di 30 Tl al giorno. Con un po’ di buona volontà si può fare il carico d’acqua e si può scaricare la cassetta delle acque nere, in uno scassatissimo WC di quelli tipo cantiere.
Nel parcheggio precedente c’erano invece anche i servizi igienici e le docce e il prezzo era uguale, ma tutto sommato il parcheggio doveva servire da parcheggio, appunto, e non per passarci la giornata, quindi le condizioni di ospitalità ci interessavano ben poco. Ci accoglie un addetto in divisa che alloggiava, insieme ai suoi colleghi, in un apposito posto di guardia; c’è da dire che il parcheggio era custodito anche di notte, ma di ricevuta non ne avremmo vista una, nonostante l’addetto principale portasse un’accurata contabilità dei veicoli in entrata e in uscita e così maturiamo la convinzione che la tariffa giornaliera l’addetto di cui sopra se la mette in saccoccia.
Altri camperisti ci avrebbero poi detto dell’esistenza di un parcheggio per camper proprio alle spalle della Moschea blu, adiacente ad essa, ma noi la zona l’abbiamo girata non poco e non abbiamo notato altri parcheggi. Lasciamo il veicolo e cominciamo subito la visita della città. Ci rechiamo alla Moschea Blu, dove per entrare dobbiamo toglierci le scarpe ed indossare veli e gonne lunghe. A tutti viene dato un sacchetto per metterci le scarpe, per ché si entra da una parte e si esce dall’altro.
L’ingresso è disciplinato da poliziotti rigorosamente senza scarpe. Il fatto che i poliziotti facessero servizio presso le moschee non è una cosa strana. L’islam, infatti, non è solo una religione bensì è lo stato, quindi non deve far meraviglia che i siti religiosi sono presidiati e vigilati, anche all’interno, da personale dello stato. Per noi che viviamo in uno stato laico, questo tipo di commistione è inconcepibile.
Descrivere la moschea è impossibile. Noi la vediamo, ovviamente, come un’opera d’arte e non come un sito religioso e, tuttavia, non possiamo ignorare l’atmosfera che regna al suo interno né possiamo non rispettare la religiosità dei musulmani, ivi compreso il fatto che le donne sono relegate in appositi recinti, chiusi da grate, dove pregano tutte insieme. straordinarie sono le cupole maiolicate, gli enormi lampadari ed il tappeto immenso che ricopre il pavimento, che è tutto d’un pezzo e non mostra cuciture.

Intanto tutto intorno alla moschea comincia a radunarsi una folla enorme, e così ci rendiamo conto di essere capitati in pieno Ramadan! Durante il Ramadan si osserva il più assoluto digiuno solo fino al tramonto, subito dopo si scatena l’inferno; una miriade di persone si accampano ordinatamente intorno alla moschea, nei giardini pubblici, famiglia per famiglia sui loro tappeti, e quindi cacciano fuori di tutto e di più, ivi compresi fornellini e pentole a pressione e barbecue per arrostire la carne.
Tutto è permesso ma al sorgere del sole tutto deve sparire. In verità avevano notato che l’atmosfera si faceva man mano sempre più vivace, con un traffico super incasinato e famiglie numerose attrezzate come se avessero dovuto affrontare il viaggio per la terra promessa. L’episodio che ci fece capire definitivamente ch’eravamo in pieno Ramadan fu il fatto che mentre stavamo guardando le bancarelle dalle quali i negozianti si sbracciavano per attirare i turisti, all’improvviso più nessuno di preoccupò di vendere e tutti si precipitarono sui vassoi di cibo che arrivavano man mano: era finalmente tramontato il sole!

Ceniamo in un localino tipicamente turco, sviluppato in verticale. Non mi ricordo quanti piani abbiamo salito, almeno quattro, e ad ogni piano c’erano diversi tavolini. Ci domandavamo quanto fossero contenti i camerieri di fare su e giù per le scale ma poi ci accorgemmo che c’era una distinta cucina quasi ad ogni piano. Ci posizioniamo all’ultimo piano, con vista sulla Moschea Blu, e per questo motivo non possiamo bere né vino né birra; in prossimità dei luoghi sacri, infatti, non si possono consumare alcolici, a prescindere dal Ramadan.
Ma il Ramadan non finisce qui. E infatti i musulmani, se di notte sono svegli per mangiare e allora possono anche pregare e così ogni due o tre ore il muezzin sbraita le sue preghiere dall’alto del minareto. In verità a causa del caos cittadino il muezzin avrebbe avuto poca speranza di farsi sentire e così si serve di altoparlanti di considerevole potenza. Buon per lui perché dopo l’ennesima notte in bianco stavo pensando di procurarmi un fucile di precisione per farlo secco.
Noi, purtroppo, non siamo musulmani e la notte vorremmo dormire ma la prima notte di quiete era ancora lontana. E infatti, giusto per non distrarsi, quando sta per approssimarsi l’alba c’è un buontempone che va in giro con un tamburo facendo un casino infernale per svegliare quelli che magari hanno bevuto un po’ troppo e si sono appisolati durante la digestione.
- 7 agosto
Di buon’ora andiamo a visitare il Topkapi, ossia il complesso dei palazzi del sultano, con tanto di harem. È meno imponente della città proibita di Pechino ma a mio parere è molto più bello. L’impero ottomano, infatti, nella sua espansione aveva preso e appreso non poco dai paesi europei e non si faceva mancare le cose più belle: dai marmi di Carrara ai vetri di Murano. Non c’è molto da dire: è da vedere.
All’uscita compriamo alcune cose e tra queste una carta telefonica che normalmente costa 4 Tl ma sulla quale c’è attaccato un talloncino che indica il prezzo di 10 Tl; insieme a questa compriamo alcuni francobolli che paghiamo più di quanto c’è segnato. Faccio finta di niente ma subito mi reco al telefono pubblico più vicino per provare la carta telefonica e l’apparecchio mi segna un credito di 4 Tl; torno dalla negoziante e le dico che non voglio più niente, né la carta né i francobolli e lei prima finge un attimo di disappunto poi mi restituisce i soldi senza tanti commenti.
Non sono mancati altri episodi simili, come quando con la faccia più serafica danno un resto minore di quello dovuto; basta alzare un po’ la voce o ributtargli tutto sul banco e le cose subito si mettono a posto. Dal Topkapi scendiamo poi al porticciolo sul Corno d’oro utilizzando la “metropolitana scoperta”, ossia dei tram a più vagoni che costituiscono un vero e proprio trenino.
Non capiamo con quale logica si fanno i biglietti: infatti le fermate, poste lungo la strada percorsa da autobus ed auto, sono circondate da una bassa ringhiera ed hanno sue soli varchi posti alle due estremità del marciapiede; i varchi sono presidiati da due poliziotti; i biglietti si fanno da tutt’altra parte e sono costituiti da un gettone di plastica (quelli che una volta si mettevano negli autoscontro); il gettone serve per superare il tornello e posizionarsi sulla fermata e così se a uno gli scappa la pipì o ha cambiato idea e vuole andare da un’altra parte il gettone è bello e perduto.

Paese che vai … Al porticciolo sul Corno d’oro andiamo a provare i “panini di pesce”, giusto perché la guida diceva di fare questa esperienza. Tre battelli allestiti in stile piratesco arrostiscono pesci alla stregua dei wurstel e al modico prezzo di poche lire li servono nei panini.
Sulla terraferma ci sono dei gazebo sotto i quali consumare i panini e l’atmosfera non è delle più rilassanti: tavolini e sgabelli piccolissimi, dove a stento ci entra una coca, è così bassi che sembra di stare seduti per terra; un casino di gente che va e viene e quasi ti calpesta, proprio perché stai quasi seduto per terra; camerieri che sbraitano a tutto spiano non si sa cosa, tenuto conto che ognuno deve servirsi da solo; condizioni igieniche da quarantena; panini che tutto sommato fanno schifo perché il pesce è amaro e pieno di spine.
Ma dopo essere sopravvissuti all’esperienza dei Tulou del sud della Cina i panini di pesce non ci fanno paura e di ripromettiamo una feroce vendetta con una spaghettata tutta nostrana. Il Corno d’oro altro non è che una rientranza, una lingua di mare che si protrae verso l’interno della Istanbul europea. Dallo stesso porticciolo partono i battelli che fanno il giro del Bosforo, ossia lo stretto che unisce il mar di Marmara al mar Nero.
Il giro dura poco più di un’ora (Tl 12 a testa) e le corse sono di due tipi: una fa solo il giro, passando sotto i due grandi ponti autostradali che uniscono la Istanbul europea a quella asiatica, e l’altra fa varie tappe, con la possibilità di scendere per poi prendere la corsa successiva. Le due rive del Bosforo sono ricche di palazzi di notevole pregio architettonico, grandi alberghi e palazzi governativi.
Al ritorno visitiamo Santa Sofia, bellissima chiesa bizantina dagli storici mosaici, poi divenuta moschea e infine sconsacrata anche come moschea; all’uscita cerchiamo il Gran Bazar, ma è tardi ed è già chiuso. La serata finisce in camper a gustare una cena tutta italiana accompagnata da vino italiano e con la rassegnazione di un’altra notte in bianco nell’inferno del Ramadan.
- 8 agosto
È domenica e la partenza è prevista per il primo pomeriggio. Visitiamo la Cisterna, là dove si raccoglieva l’acqua che alimentava la città del sultano. All’uscita notiamo pattuglie di ragazzi con una salopette recante la scritta “ask to me” (chiedi a me), organizzati dal comune, che prestano assistenza ai turisti e sono molto più efficienti dello scalcagnato centro informazioni turistiche che non aveva saputo darci uno straccio di spiegazione; una ragazza del gruppo si avvicina e, cartina alla mano, ci dà una serie di indicazioni utili.
Andiamo quindi a visitare il Gran Bazar e ci sentiamo a casa nostra, in uno dei tanti mercatini rionali, con l’unica differenza che questo è chiuso e coperto, col soffitto basso e poco illuminato. Il Gran Bazar è un edificio enorme, a due piani, i cui corridoi sono veri e propri vicoli. In origine il piano terra era un caravanserraglio, nel quale erano ospitati gli animali dei mercanti, mentre ai piani superiori si svolgevano le trattative commerciali.

Ora il piano terra è costituito da una miriade di negozietti, pulitissimi ed ordinatissimi, di pochi metri quadrati, che espongono la propria merce all’esterno. Il Gran Bazar è diviso a zone, in ognuna delle quali si commercia un determinato prodotto: c’è quella dei gioielli, quella dei tessuti, quella delle scarpe, ecc. Di tanto in tanto si intravede qualche banca, qualche bar, e altri locali che fanno cose da mangiare.
Le porte di accesso sono sorvegliate da poliziotti che controllano i passanti, uno ad uno, col metal detector; un attentato lì farebbe una vera strage degna del più sfegatato dei talebani. Lì entriamo a contatto con un altro aspetto della cultura turca: la trattativa commerciale. Anche in Turchia il prezzo fisso non esiste, si contratta su tutto, ma a differenza della Cina, dove le trattative vanno avanti con un tira e molla estenuante, i turchi sono molto più sbrigativi; e infatti non appena il cliente mostra di non condividere il prezzo essi subito chiedono “quanto vuoi spendere?”.
A questo punto se l’acquirente offre il suo prezzo e il commerciante lo accetta, il primo se ne va sempre col dubbio che se avesse sparato un prezzo più basso forse l’avrebbe spuntata e quindi avrebbe risparmiato di più. Il sistema che abbiamo ritenuto più conveniente è quello di cercare di capire per bene la qualità del prodotto, farsi un’idea del valore in Italia dello stesso prodotto, tagliare sul prezzo e quindi trasformare il valore in lire turche e così si può andar via soddisfatti anche se il commerciante ha accettato la proposta senza batter ciglio.
Dopo il Gran Bazar pranziamo in un localino dal pasto veloce nel quale il cameriere si dà un gran da fare nello sfornare complimenti all’indirizzo dell’Italia e degli italiani e la cosa, ovviamente, non ci piace perché ci suona tanto come una presa in giro.
Cambiamo soldi ad un tasso conveniente e senza commissioni (lì le agenzie di cambio sono una dietro l’altra) e torniamo al camper per allontanarci da Istanbul prima della temuta ora di punta, quando il traffico diventa una cosa allucinante. Al parcheggio, però, incontriamo i francesi che s’erano insabbiati in Grecia e tra un saluto di qua ed una spiegazione di là mettiamo in moto che ormai s’erano fatte, tragicamente, le ore 18.00.
- 6. Da Istanbul a Tekirdag, km. 139
Seguiamo le indicazioni per l’autostrada (otoban) ma non sappiamo in quale direzione l’avremmo presa: verso l’Europa o verso l’Asia? Chiediamo indicazioni all’autista di un camioncino che alla fine ci fa segno di seguirlo. Giungiamo a vedere il casello dell’autostrada, lo stesso che avevano attraversato all’arrivo, dopo ben due ore di traffico e senza la cortese guida del camionista saremmo rimasti lì non poco.
Giunti al casello, però, lo scenario non cambia: traffico bloccato prima e traffico bloccato anche dopo il casello. Solo dopo diversi chilometri cominciamo finalmente a camminare ma lì in autostrada il limite di velocità è di 120 km/h. Lasciamo l’autostrada a Silivri e riprendiamo la statale. Si cammina veloce e senza traffico.
Ci fermiamo per cena in un’area di servizio aperta tutta la notte il cui gestore non appena mi vede scendere dal camper non mi fa neanche aprire bocca e mi dice “no problem”. Passiamo lì la notte a fianco ad un camion frigorifero che ogni mezz’ora mandava in funzione le ventole facendo un casino infernale. La prima notte di quiete era ancora lontana!
- 7. Da Tekirdag ad Assos, km. 350
- 9 agosto
Partiamo di buon’ora dirigendo a sud e alle 10.00 siamo ad Eceabat (km. 205), da dove si prende il traghetto per attraversare lo stretto dei Dardanelli (35 Tl). Fatta un po’ di spesa ci imbarchiamo senza dover attendere molto. Di traghetti sembra ce ne siano solo due e non sempre contemporaneamente in funzione e così tra una partenza e l’altra possono passare anche due ore. La traversata dura circa un’ora.
Sbarchiamo a Canakkale e ci rendiamo subito conto che non è un posto dove ci si possa fermare tranquillamene. C’è traffico ordinato ma è una città a tutti gli effetti. Dirigiamo verso sud e lungo la strada ci troviamo, con una piccola deviazione, agli scavi di Troia (km. 34). Visitiamo gli scavi, giusto per dire che ci siamo stati, perché già la guida diceva chiaramente che non fossero una grande cosa.
Da Troia a Iskele (km. 41) e quindi ad Assos (km. 70), dove ci fermiamo in un’area di sosta fornita di tutto per modo di dire (Tl 10 al giorno): bagno dove poter scaricare la cassetta WC, doccia da evitare, carico acqua, corrente di dubbia potenza e col sovrapprezzo di 5 Tl. In verità c’erano cartelli che indicavano la presenza di campeggi ma quando avevo provato ad inoltrarmi nel borgo marinaro m’ero trovato di fronte le guardie che m’avevano fatto capire che se avessi fatto qualche metro in più mi sarei incastrato nei ristoranti senza poter tornare più indietro.
Avrei poi scoperto che Assos, vecchio borgo marinaro greco poi passato ai turchi, aveva una rocca, molto più su, un borgo marinaro, dove c’eravamo infilati, e lunghe spiagge piene di campeggi, ma subito dopo. Il posto, comunque, è veramente bello e decidiamo di fermarci per fare finalmente un bagno di mare che meriti.
Durante la notte sentiamo dei passi sul camper. Chi sarà mai? Troppo leggeri per essere quelli di un essere umano e troppo pesanti per essere quelli di uno dei cani che avevamo visto in giro, salvo a capire come avesse fatto a salire sul tetto per correre aventi e indietro. Poi a un tratto più niente. Non c’era altra spiegazione se non quella che l’intruso fosse venuto dal cielo per poi riprendere il volo. Si trattava, infatti, di una cicogna, che nella zona abbondano. Risultato: altra notte in bianco.
- 10 agosto
Restiamo ad Assos ed anche se per fare il bagno dobbiamo farci un bel tratto a piedi, la passeggiata è piacevole e il caldo non si soffre, anche perché lì, a quanto pare, il vento non manca mai.
- 8. Da Assos a Bergama, km. 222
- 11 agosto
Alle 11.00, dopo un ultimo bagno, risaliamo verso la rocca per dirigere a sud. Prendiamo a bordo un autostoppista, un ragazzo che studia composizione al conservatorio di Ankara, il quale, munito di chitarra, ci fa compagnia col suo repertorio che va dai Beatles alle musiche popolari turche; pranza con noi e poi lo accompagniamo fino ad Ayvalik e più precisamente a Cunda, nel campeggio al quale era diretto.
Pur essendo poco propensi a sostare in campeggio, chiediamo la tariffa giornaliera ed una volta conosciutane la consistenza ci convinciamo definitivamente che di fermarsi in campeggio non è proprio il caso. Il posto, quindi, non ci ispira e tiriamo dritto fino a Bergama, per andare a vedere gli scavi archeologici. La guida ci indicava un parcheggio ai piedi degli scavi, in prossimità della chiesa rossa, gestito da un commerciante di tappeti che, volendo, avrebbe procurato anche un taxi che ci portasse sull’acropoli.

Troviamo facilmente la chiesa rossa (una vecchia basilica bizantina in mattoni rossi ora ridotta a rudere), che si incontra seguendo la strada principale, e ancora più facilmente troviamo il parcheggio, perché il gestore si sbraccia non poco per indicarlo. Entriamo. Il gestore parla bene l’italiano perché, manco a farlo apposta, viene a vendere i tappeti dalle parti nostre e così ci fa anche un considerevole sconto (20 Tl).
Ceniamo in una specie di taberna – indicataci dal gestore del parcheggio – che non brilla per pulizia e proviamo la pizza turca, che è fatta in un modo particolare. Fuori casa non osiamo chiedere la pizza perché nella migliore delle ipotesi dovremmo pentircene subito dopo, ma la pizza turca, che lì si trova un po’ dappertutto, è fatta come un mezzo sfilatino sul quale mettono intrugli strani a scelta; anche la pala per infornarla è fatta a forma di sfilatino.
Non è una cosa eccezionale ma si sopravvive. La cittadina è tranquilla e non mancano i turisti ma ad una certa ora diventa un mortorio. Bergama è la città che ha preso il posto dell’antica Pergamo, importantissima città di quella parte dell’impero romano che comprendeva l’Asia minore.
- 9. Da Bergama a Selcuk, km. 241
- 12 agosto
Il mercante di tappeti ci procura il taxi che per 13 Tl ci porta fino in cima all’acropoli. Visitiamo gli scavi e al ritorno, anziché uscire da dove eravamo entrati, dirigiamo verso il fondo valle, così che arriviamo a piedi fino al parcheggio attraversando gli scavi. Gli scavi, infatti, non sono costituititi soltanto dall’acropoli ma occupano anche buona parte del fianco della collina che scende fino all’attuale Bergama, quindi per vederli tutti o si sale o si scende a piedi e quest’ultima è, ovviamente, la soluzione più comoda.
Il parcheggio, che è provvisto di autolavaggio, offre la possibilità di fare carico e scarico. Prima di partire chiedo al ragazzo del parcheggio di pulirmi un po’ il vetro e lui di tutta risposta mi lava tutto il camper salutandomi con uno smagliante sorriso sdentato.
Gli scavi di Efeso sono la prossima meta ma lungo la strada ci fermiamo a Foca per un rapido bagno. La località è piacevole ma non sembra offrire posti dove ci si possa fermare e quindi ci rimettiamo subito in viaggio arrivando a Selcuk, in serata, e quindi agli scavi di Efeso. Ci sono, però, dei militari di guardia che ci dicono che il parcheggio è praticabile solo di giorno e quindi torniamo a Selcuk dove andiamo a parcheggiare fuori alla basilica di san Giovanni, ai piedi della rocca.
- 10. Da Selcuk a Pamucak, km. 241
- 13-16 agosto
Siamo ancora nel Ramadan è così prima dell’alba passa il solito suonatore di tamburo che ci sveglia di buon’ora. Intanto il parcheggio comincia ad animarsi e così ci spostiamo in un viale laterale, che conduce alla rocca (non visitabile a causa di lavoro in corso), dove continuiamo a dormicchiare fino al mattino.
Alle 9.00 siamo ad Efeso, definita la Pompei turca. Gli scavi sono tenuti in modo eccezionale: puliti e molto curati e fa rabbia vedere che lì lavorano, come archeologi e restauratori, tutti ragazzi italiani. D’altro canto il grosso degli scavi in Turchia l’hanno fatto austriaci ed italiani e se da un lato fa piacere vedere che le didascalie e le spiegazioni sono scritte in turco e in italiano (anziché nel solito inglese), dall’altro fa rabbia sapere che in Italia i nostri beni se ne cadono a pezzi.

Gli scavi non li descrivo, bisogna vederli. Per una visita veloce, comprese le case a gradoni, sono necessarie almeno 4 ore. Negli scavi conosciamo una coppia di milanesi, anche loro camperisti, che ci indicano il campeggio di Pamucak (km. 12) sconsigliandoci quello di Kusadasi dove invece avevamo pensato di andare.
Dopo la visita ad Efeso ci rechiamo quindi al campeggio di Pamucak (30 Tl al giorno) che si presenta molto accogliente e con una bellissima spiaggia piena di palme. Il campeggio ospita tende e roulotte nella parte alberata e camper nella zona pavimentata a cemento; nella zona riservata ai camper ci sono anche le prese per la corrente ma la potenza è scarsa e manda in tilt il frigo, specie se è automatico.
Il campeggio è fornito di bungalow e appartamentini e i servizi non sono male. Il market è assolutamente ridicolo ma all’interno del campeggio, sulla spiaggia, c’è un ottimo ristorante molto frequentato da gente che viene lì apposta. Il cibo è buono ed i prezzi anche.
Facciamo amicizia con altri due equipaggi italiani, di vicino Roma e di vicino La Spezia, e ci godiamo il mare fino a quando decidiamo di rimetterci in viaggio per andare a Pamukkale il giorno 16, ma poi rinviamo al giorno dopo per consentire agli amici di Aulla di venire con noi.

Nel frattempo, quindi, andiamo a visitare (o, meglio, quel che resta de) la basilica di San Giovanni. Lì vicino c’è anche una chiesa intitolata alla Madonna dove il 15 agosto fanno una cerimonia molto suggestiva (ci dicono), ma andarci col camper è improponibile. Gli amici, infatti, c’erano andati con i motorini.
- 11. Da Pamucak a Pamukkale, km. 214
- 17 agosto
Partiamo alle 7.00 con l’intento di arrivare sul posto quando il sole non picchia. Pamukkale è quella località unica al mondo (dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità) circondata da colline bianche di calcare dalle quali sgorga acqua termale che raggiunge i 36°.
Purtroppo non avevamo fatto i conti con la polizia stradale che ci ferma e ci multa per eccesso di velocità (105 Tl); invero la guida sconsigliava di pagare le multe perché facilmente se le intascano i poliziotti ma la prospettiva di farsi bloccare alla frontiera, dove annotano il numero di targa sul passaporto, ci induce a pagare subito con l’augurio che possano comprarsene tutte medicine.
Avevamo raggiunto la considerevole velocità di 98 km/h e i laser non perdonano. E dire che un torinese giunto in campeggio il giorno prima ci aveva avvisato, perché anche lui aveva pagato quel che avevo definito una “tassa sul turismo”. Arriviamo quindi a Pamukkale ma prima di entrare in paese veniamo forviati da una segnaletica ambigua e imbocchiamo una deviazione che ci porta su per le montagne.
Chiediamo informazioni ad un imbecille che ci chiede un passaggio fino a casa sua, dove ci invita ad entrare, ma di fatto ci porta ancora più fuori strada. Torniamo infine a Pamukkale quando il sole già picchia in modo accecante sulle bianche colline calcaree. Di fare la scalata non se ne parla proprio e quindi rimandiamo la cosa a dopo pranzo.
Raccogliamo l’invito di un ristoratore che ci fa sistemare nel parcheggio erboso del suo ristorante per 30 Tl, dove c’erano altri camper, e lì ci facciamo una feroce spaghettata. Nel primo pomeriggio il cielo si copre di nuvole nere ed iniziamo la scalata, senza scarpe, camminando sul calcare, nei rivoli d’acqua calda che arrivano a valle.

Di tanto in tanto si incontrano grosse vasche, create apposta per raccogliere l’acqua, dove molti si divertono ad impiastricciarsi col fango bianco che dicono essere un toccasana per la pelle. In cima alla collina c’è la città romana di Adrianopoli e tutto un sistema di vasche che già i romani avevano creato per sfruttare le acque termali.
- 12. Da Pamukkale a Pamucak, km. 207
- 18 agosto
Partiamo alle 9.00 per tornare al campeggio di Pamucak stando attenti ai limiti di velocità. Arriviamo lì alle 12.00 e programmiamo la ripartenza per il giorno dopo. Per noi si avvicina il giorno del rientro e non intendiamo fare marce forzate.
- 13. Da Pamucak ad Ayvalik, km. 307
- 19 agosto
Alle 8.00 del mattino lasciamo il campeggio di Pamucak con gli altri due equipaggi. I milanesi restano lì. Ci fanno da guida i romani che vengono in Turchia da svariati anni e la conoscono molto bene. Percorriamo la strada costiera fino a Sigacik (km. 72), un paesino di pescatori molto turistico e molto ventilato. Dopo una breve passeggiata ci rimettiamo in viaggio diretti a Guzelbahce (km. 31), con l’intento di provare uno dei tanti ristoranti di pesce.
Giunti sul posto parcheggiamo all’interno di un supermercato e facciamo un po’ di spesa e poi, attraversata la strada, facciamo la nostra spesa di pesce indicando il ristorante nel quale intendiamo consumarlo. Il pranzo è ottimo e abbondante; al ristorante paghiamo la cottura del pesce (calamari, cozze, gamberi, orate), i contorni e le bevande e il tutto, compresa la spesa di pesce, ci viene a costare introno alle 65 Tl a coppia.
Dopo pranzo riprendiamo il viaggio e stavolta pigiando un po’ sull’acceleratore; superiamo Izmir (immensa, 3.150.000 abitanti), fino ad Ayvalik e quindi a Cunda, località molto turistica posta di fronte all’arcipelago di isolette di Ayvalik, dove giorni prima avevano lasciato l’autostoppista turno. Troviamo un posto per tutti e tre i camper in prossimità di un bar sulla spiaggia, dopo il campo sportivo abbandonato. Il vento non ci dà tregua.
- 14. Da Ayvalik ad Altinoluk, km. 83
- 20 agosto
Il tempo è buono ma il vento è fastidioso ed il mare non è granché. Alle 11.00, su mia insistenza, decidiamo di ripartire e dopo pochi chilometri incontriamo due equipaggi conosciuti a Pamucak. Ci fermiamo e facciamo un primo assaggio dei dolci che la romana aveva preparato per il suo compleanno. Ci rimettiamo poi in viaggio fino ad arrivare ad Altinoluk (km. 83), dove ci fermiamo in una piccola area di sosta in riva al mare, lungo la statale, e dopo breve trattativa il gestore scende da 35 a 25 Tl al giorno per equipaggio.
- 21 agosto
Il romano si ostina a pescare e qualcosa la tira su. Noialtri due, invece, andiamo col motorino in paese, a pochi chilometri, per procurare il resto. E così festeggiamo il compleanno della romana con un’abbondante frittura di pesce, preceduta da un’altrettanto abbondante spaghettata e per chiudere facciamo fuori il dolce che la festeggiata aveva preparato già ieri.
- 15. Da Altinoluk ad Ipsala, km. 257
- 22 agosto
Dopo quello che sarebbe stato l’ultimo bagno nell’Egeo turco, iniziamo il viaggio di rientro. Alle 15.00 salutiamo gli amici e dirigiamo verso lo stretto dei Dardanelli. Alle 18.00 siamo a Canakkale (km. 113) ed alle 23.00 siamo alla frontiera (km. 144) dopo una breve sosta per la cena e in un outlet per consumare i soldi turchi che c’erano rimasti. Alla frontiera troviamo la polizia italiana che ci agevola il passaggio in Grecia.
- 16. Da Ipsala a Ioannina, km. 590
- 23 agosto
Sapevo che quel tratto di strada era pressoché disabitato e quindi dirigo direttamente ad Alexandroupoli (km. 42), dove giungiamo all’1.30 per fermarci nello stesso parcheggio nel quale c’eravamo fermati nel viaggio di andata, sempre a 150 metri dal campeggio comunale che avremmo poi visto solo il giorno dopo.
Siamo in Grecia e l’atmosfera è decisamente diversa. Alle 11.30, dopo aver tentato un bagno in prossimità di scarichi sospetti di alberghi a cinque stelle, decidiamo di fare a meno del bagno e di rimetterci in viaggio per fermarci a Kavala (km. 144). Lì possiamo fare un bagno decente e alle 17.00 ci rimettiamo in viaggio.
Superiamo Tessalonica e attraversiamo tutta la Grecia continentale; all’1.30 ci fermiamo in un’area di servizio presso Joannina; la scelta non si rivela molto felice perché il bar è uno di quelli frequentati tutta la notte e il sonno viene continuamente interrotto da schiamazzi, portiere che sbattono, auto che sgommano ecc..
- 17. Da Ioannina a Lefkada, km. 128
- 24-25 agosto
Alle 8.30 ci rimettiamo in marcia e dirigiamo a Lefkada, località vista molto di sfuggita nel 1995, quando ancora non avevano costruito il tunnel che avrebbe unito l’isola alla terraferma. La prima cittadina che si incontra è appunto Lefkada, subito dopo il tunnel (€ 5.00) che ha per caratteristica un’ampia laguna intorno alla quale corre la strada.
Riconosciamo subito il mare che preferiamo, lo Ionio, e le spiagge greche che anche a ferragosto sono praticamente deserte. In serata ci spostiamo nel parcheggio comunale a ridosso della laguna e a pochi metri dal centro abitato che, come in tutte le località di mare della Grecia, di sera diventa molto movimentato.

Ceniamo sul lungomare in una delle tante taberne. Il giorno dopo facciamo un breve giro fino a Nidrì, da dove nel 1995 partimmo per fare un giro delle isole (Skorpio, Itaca e Cefalonia) con un battello del luogo.
- 18. Da Lefkada a Igoumenitsa, km. 131
- 26 agosto
È il giorno del rientro. Partiamo di buon’ora e alle 10.00 siamo a Drepano (km. 125), la spiaggia di Igoumenitsa, dove c’eravamo fermati all’andata appena sbarcati, e lì facciamo l’ultimo bagno. Alle 18.00 siamo a Igoumenitsa (km. 6) e quindi a bordo.

- 19. Da Bari a Nola, km. 241
- 27 agosto
Alle 10.00 sbarchiamo a Bari, stavolta il catorcio s’è comportato bene e per sbarcare abbiamo perso poco tempo. Alle 14.00 siamo a casa e, dopo avere messo a posto il camper, per prima cosa ci procuriamo un’enorme mozzarella con la quale celebriamo il ritorno, dopo aver percorso complessivamente 4.413 km.
La Turchia non l’abbiamo trovata come ci aspettavamo ma non per questo ci ha deluso. Pensavamo fosse come la Grecia e invece è completamente diversa in tutto: diversa è la cultura e le abitudini, specie quelle religiose; diverso è il modo di comportarsi con i turisti; diverse sono le strade, la viabilità ed i criteri di urbanizzazione.
Eppure non mi aspettavo che un popolo che ha dominato il Mediterraneo per 400 anni, arrivando fino alle porte di Vienna (l’impero ottomano), fosse così diverso dagli altri popoli europei. Indubbiamente la Turchia è bella ma, a parte Istanbul, il meglio sembra stia nell’interno (Cappadocia) e molto a sud (Antalya) e per quanto ci piaccia viaggiare e non mi dispiaccia guidare ci fa anche piacere assaporare l’atmosfera dei posti che visitiamo e non stare sempre a macinare chilometri.
Pertanto per visitarla per bene c’è bisogno di un bel po’ di tempo in più, considerato che solo per varcare la frontiere se ne vanno via almeno due giorni ad andare ed altrettanti al ritorno. Per quel che abbiamo visto, poi, il mare greco è molto più bello di quello turco e così anche le coste, ma il vero camperista non si mette a fare confronti perché qualsiasi posto è bello, se mai visto prima.