Alla scoperta dell’India attraverso gli occhi e il cuore di Veronica, una viaggiatrice che ha composto per noi questo bellissimo diario di viaggio.
Qualora vi foste persi la puntate precedenti, vi consigliamo di andarle a leggere qua:
Diario di viaggio: in India tra storia e magia – Prima parte
Diario di viaggio: in India tra storia e magia – Seconda parte
Diario di viaggio: in India tra storia e magia – Terza parte
Bene, ora vi consigliamo di allacciare le cinture e partire di nuovo alla scoperta dell’India con la quarta parte del diario. Buona lettura!
“Hot Chimney Restaurant”
L’esperienza al bazar mi ha stordito. Una volta tornata in me riesco finalmente ad apprezzare i vivi colori che dominano il mercato delle spezie e le tinte che disegnano i lunghi vestiti femminili. Sorrido alla vista dei capelli rosso fuoco di alcuni uomini (Giovanni mi dice che è di moda), guardo affascinata donne e ragazzi pregare nascosti nei piccoli tempi che facilmente popolano le strade.
Mentre mi rimetto in macchina un’imbarazzante rumore proveniente dal mio stomaco mi ricorda che è ora di pranzo. Proviamo qualcosa di tipico, dico al mio gentile uomo-guida, fuori dal centro o magari in un luogo meno caotico.
Raggiungiamo Lodi Colony. L’auto si accosta in una larga strada in gran parte asfaltata mentre io realizzo di dover portare sempre un cambio, la mia t-shirt è decisamente di un altro colore! “Here, typical restaurant”, la voce di Giovanni mi riporta alla realtà. Giro lo sguardo verso il posto indicato dal mio unico amico indiano: Hot Chimney Restaurant. A sinistra una bottega, a destra una saracinesca abbassata, sul tetto lamiere e mattoni in concerto. Lui, che sembra conoscermi da mesi, si accorge che mi sto lasciando condizionare dall’apparenza e mi rassicura “Go! It’s okay!”. Raccolgo lo zaino e scendo. Il posto è piccolo, le persone che occupano i tavoli fanno una gran confusione, ma sento solo voci maschili. Un ragazzo tutto sudato mi fa sedere vicino la cucina, mi guardo attorno e capisco subito che Giovanni aveva ragione, è un tipico ristorante indiano, sono l’unica turista! Questo mi fa sentire meglio, adoro immergermi al 100% nella cultura del posto; uno dei modi per conoscere gli altri è immedesimarsi e, d’altronde, sono venuta fin qui per questo! Ordino le prime tre cose che i miei occhi incontrano sul menù, decido di lasciarmi sorprendere anche dalla cucina. Non hanno acqua in bottiglia, mi vedo costretta a ordinare della birra, il che suscita curiosità nello sguardo del cameriere, gli sorrido, ricambia. Approfitto chiedendogli di indicarmi il bagno, i miei bisogni fisici non possono più attendere. Come ogni bagno che si rispetti si trova “in fondo a destra”, ma fuori dal ristorante! Avrò sgranato un po’ troppo gli occhi perché, dopo un profondo sospiro, mi dice di seguirlo. A passo svelto usciamo dal locale e con poca voglia mi spiega che i servizi di ristoranti e locali, generalmente, si trovano nella strada tra quello e un altro luogo pubblico. Mi lascia in una piccola traversa, facendomi segno di andare. Trovo un lavabo verde bottiglia con uno specchio un po’ rovinato, quasi fosse voluto, incorniciato da piastrelle color mattone. Mi ricorda la toilette in stile retrò di cui mi sono servita non molto tempo fa in una bakery alla moda nel veronese. Non si può certo dire lo stesso dei servizi e l’olezzo mi riporta immediatamente dov’ero.
Le portate arrivano tutte assieme, il cameriere ripete il nome di ognuna ma per me restano suoni impronunciabili, così l’unico modo per ricambiare la sua gentilezza è sfoggiare un sorriso. Mi sentirò in imbarazzo qualche minuto dopo quando sarò costretta a chiedere le posate. Guardandomi attorno ammiro la velocità e la naturalezza con cui il naan diventa cucchiaio e forchetta insieme, oltre che a un gustosissimo pane. C’è molta meno poesia in me e nella mia forchetta da occidentale ma, nonostante questo, anche io raccolgo l’ammirazione dei due ragazzini, seduti al tavolo accanto, che mi sbirciano di nascoso al papà. Mi piace osservare gli altri mentre vivono la loro vita, nei gesti quotidiani o in famiglia; si scoprono tante cose che nessun libro ti racconta e, se lo fa, non è mai come viverlo. Mi accorgo che una sola mano è usata per il cibo e che le donne non si rivolgono mai al cameriere: le loro ordinazioni sono, di solito, prese dal marito/compagno e quando sono poste delle domande si crea una specie di telefono senza fili tra i tre al tavolo. Non è quindi un caso se gli uomini hanno spesso il tono di voce alto mentre la voce femminile si percepisce appena.
Da quando ho messo piede in India, mi sento trasportata in una società più vecchia di me e ho la sensazione di poterla spiare in silenzio, è un privilegio che devo saper cogliere al meglio perciò faccio enorme attenzione alle regole e alle convenzioni, rispettando tutto quello che mi dicono; chi sono io per giudicare? Sono qui per apprendere che la diversità culturale è un pozzo profondissimo di sapere in cui è possibile entrare facendo però attenzione a non disturbare chi vi dimora, ricordando che, in profondità, la luce potrebbe mancare, che tastando le pareti si potrebbe affondare le mani nel muschio, che zanzare, insetti e volatili potrebbero spaventarti e sfiorarti mentre, scalino dopo scalino, ti addentri nell’enormità dell’ignoto. La diversità è bella perché alla fine del pozzo potresti scorgere la calma spiaggia di una distesa oceanica in cui puoi godere di pace e silenzio mentre, tra le foglie di un loto al centro dell’oceano, ondeggi e ti fai cullare dall’acqua e dal canto degli uccelli.
Il pranzo è squisito, per mia fortuna la maggior parte dei piatti sono vegetariani e posso godermi ogni singolo thali; scendo a compromessi con le spezie e il piccante e mi costringo a ordinare un’altra birra. L’unico ventilatore al soffitto fa quel che può ma non basta a rendere l’aria respirabile, nonostante tutto non vedo l’ora di andare via. Chiedo il conto, pago, raccolgo il resto e la ricevuta e raggiungo la macchina gialla che mi aspetta dall’altro lato della strada. Appena mi sistemo sul sedile posteriore apro le mani per fare un conto della spesa, osservo con sorpresa che la ricevuta è un pezzo di carta con quattro numeri in colonna mentre Gandhi ricambia il mio sorriso sulla destra delle mie 500 rupie color oliva e giallo.
E cosi, a pancia piena, sono pronta per la Humayun Tomb.