Alla scoperta dell’India attraverso gli occhi e il cuore di Veronica, una viaggiatrice che ha composto per noi questo bellissimo diario di viaggio.
Qualora vi foste persi la puntate precedenti, vi consigliamo di andarle a leggere qua:
Diario di viaggio: in India tra storia e magia – Prima parte
Diario di viaggio: in India tra storia e magia – Seconda parte
Diario di viaggio: in India tra storia e magia – Terza parte
Diario di viaggio: in India tra storia e magia – Quarta parte
Diario di viaggio: in India tra storia e magia – Quinta parte
Diario di viaggio: in India tra storia e magia – Sesta parte
Bene, ora vi consigliamo di allacciare le cinture e partire di nuovo alla scoperta dell’India con la settima parte del diario. Buona lettura!
Taj Mahal (parte II)
E’ li che aspetta milioni di turisti. E’ così bello e bianco, così sicuro nella sua possanza e fiero del posto che occupa. Attraverso un arco a forma di cupola e lo intravedo nel suo splendore: “Il Taj Mahal, una delle sette meraviglie del mondo” mi sorprendo sussurrare a me stessa mentre altri turisti curiosi mi sorpassano, spingono e alzano il passo per accaparrarsi il posto migliore per il selfie perfetto con la vista perfetta.
Ecco cosa non sopporto dei luoghi estremamente turistici; ecco perché scelgo di alloggiare nella parte povera delle città e lontana dal centro, quando posso. I turisti. I selfie. Gli smartphone. Quell’ansia di postare e l’eccitazione del roaming che solo i vacanzieri dei giorni nostri conoscono.
Respingo questo pensiero allontanandomi da loro e avviandomi verso il Grande. Ho letto, in viaggio, la sua storia: perché è stato costruito e da chi. Erigeranno un mausoleo alla mia morte? Penso divertita al passare del tempo e al mutarsi della cultura. Divento un tutt’uno con il posto, con il bianco marmoreo della superficie, col il verde del prato che mi circonda e sono letteralmente attratta da queste donne magnifiche dai vestiti accesi e luminosi che coprono per intero il loro corpo. Camminano con passo leggero e deciso, il viso scuro, gli occhi truccati di nero: quanta calma e mistero trasmettono. Riesco a prendere la macchina fotografica quando una di loro attraversa il corridoio della fontana che porta al mausoleo, è un’immagine piena di messaggi di fede e rispetto per il prossimo che, so già, mi porterò sempre nel cuore.
Quando giungo ai piedi del Taj Mahal alzo la testa al cielo per cercare di vederlo tutto. Ci sono alcuni lavori nella parte superiore, peccato per l’impalcatura….di bambù?? Eddai, non può essere! E loro sono lassù a lavorare scalzi, perché mai dovrei aspettarmi un casco sulle loro teste?
La visita vola, oltre il mausoleo ci sono altre strutture meravigliose che non posso perdermi, incontro scimmie indifferenti e indiani che chiedono foto con loro e con cui scambio qualche chiacchiera. Ora che ho terminato il giro mi sento piena: di vita, di gioia, di serenità. Mi sento bene. A volte, penso, un luogo può trasmetterti sensazioni uniche se solo hai la capacità e la leggerezza di lasciarti invadere, trasportare, cullare senza pretese, senza aspettative. Sono gli stessi luoghi che nel momento stesso in cui li vivi sai già che ti stanno entrando dentro, troveranno il loro posticino e non andranno più via.
Finalmente giungo all’uscita. Sono così presa da quelle emozioni che proseguo senza quasi far caso alla confusione di persone, ai soliti spintoni, alle solite elemosine. Camminando noto il bidone alto un metro e mezzo in cui sono stata costretta a gettare il mio mazzo di carte napoletane. Decido, senza nemmeno pensarci bene, di fermarmi a riprendere ciò che era mio. Mi avvicino con calma al bancone cercando lo sguardo della guardia col mitra, sono sicura che mi riconosce.. in quanti, oltre me, oggi hanno osato così tanto? Quando incrocia il mio sguardo comprendo di aver ragione, mi viene incontro dicendo qualcosa per me impossibile da capire. Col dito indico il bidone, lui annuisce e mi porge un bastone lungo a sufficienza per cercare le mie carte nel contenitore della merce che non ha passato i controlli. Non tocco il bastone, mi affaccio nel pozzo e mi accorgo che non sono l’unica ad infrangere le regole: è ormai strapieno, non troverò mai le carte e anche se ci riuscissi non le prenderei mai in mezzo a…questa spazzatura! L’uomo magro col mitra sembra leggere tutto ciò che penso, mi ordina, in indiano, di aspettare. Grida volgendo la testa dietro di sé. Non succede nulla. Grida più forte e questa volta con rabbia. La tenda verde scuro si muove e un uomo anziano e con gli occhi argentei e vispi, malvestito e scalzo viene fuori a passo svelto. La guardia gli urla qualcosa, l’anziano si precipita verso di noi e verso il bidone tuffandosi quasi fosse il Gange. NO! Grido! NON VOGLIO! TENETEVI LE CARTE! NON VOGLIO CHE QUALCUNO SIA UMILIATO A CAUSA MIA! NO!! L’anziano signore al mio grido si ferma in attesa di un comando, la guardia mi fissa minaccioso, il suo sguardo è penetrante e sembra voler comandare sui miei sentimenti. Con tono fermo e deciso e senza mai lasciare il mio sguardo comanda all’anziano di cercare le carte. I suoi occhi scuri mi pietrificano. Ho paura. Non posso crederci, io sto facendo una cosa del genere? L’anziano signore smuove a mani nude il contenuto dell’enorme bidone, ci infila l’intera testa e poi ne esce col mio mazzo di carte napoletane. Me le porge, mi sorride. Le guardo e guardo lui. Non voglio prenderle, sarebbe accettare un gesto così irrispettoso, sarebbe far primeggiare il mio essere bianco all’inferiorità di un ..servo? La guardia grida qualcosa e l’anziano signore si appresta a pulire il mazzo di carte, con le sue mani e la sua maglia o ciò che resta di essa. Mi porge il mazzo e mi sorride, ancora. Io non riesco a muovermi, mi vergogno terribilmente, non sopporto il suo sguardo perché mi sento così infima e piccola. Lui mi rassicura, mi fa segno di prendere le carte e che è tutto okay. La guardia inizia a perdere la pazienza e ci smuove interrompendo i nostri sguardi con un colpo di tosse. Confusa ringrazio l’anziano signore, prendo le carte e ciò che resta della mia umiltà e lascio quel posto che tanto mi ha dato e mi ha tolto.
Ancora frastornata e incredibilmente stanca arrivo in albergo. All’ingresso la receptionist mi offre una caramellina gialla, dolce tipico della festa dell’Indipendenza indiana. La accetto ma il sapore è insopportabile e la getto nel vaso di una pianta che trovo lì vicino. Giovanni mi porta in un locale, mi accorgo che da quando ho messo i piedi fuori dal complesso architettonico che custodisce il mausoleo, non ho fiatato nemmeno per dirgli “grazie per avermi aspettato”. Ma ora ho bisogno di mettere qualcosa nello stomaco. Il posticino in cui Giovanni mi lascia è davvero simpatico, molti turisti perlopiù orientali e un gruppetto di signori indiani con i capelli tinti di rosso che cantano e suonano in un angolo. La musica riesce a farmi calmare e a smuovere la mia attenzione dal mio pensiero fisso che ha il colore degli occhi argentei di quell’uomo. Ordino qualcosa da mangiare e una bionda per l’attesa mentre mi godo il concertino. Solo ora noto di trovarmi su una terrazza ma tutt’intorno è buio, sembra non esserci paesaggio. Continuo a guardarmi intorno, i due ragazzi con gli occhi a mandorla accanto a me parlano animatamente mentre io sbircio nei loro piatti. Entrambi hanno una tazza da latte sul tavolo, penso che, forse, in Giappone si cena con il cappuccino, non mi stupirebbe. Guardo meglio e noto che su tutti i tavoli ci sono tazze e non bicchieri. Strano, penso, li avranno finiti. Finalmente il cameriere mi raggiunge con l’ordinazione e una tazza tutta colorata contenente la mia pinta mentre aggiunge: “oggi è il giorno dell’indipendenza, non possiamo vendere alcool!”.