Alla scoperta dell’India attraverso gli occhi e il cuore di Veronica, una viaggiatrice che ha composto per noi questo bellissimo diario di viaggio.
Qualora vi foste persi la puntate precedenti, vi consigliamo di andarle a leggere qua:
Diario di viaggio: in India tra storia e magia – Prima parte
Diario di viaggio: in India tra storia e magia – Seconda parte
Diario di viaggio: in India tra storia e magia – Terza parte
Diario di viaggio: in India tra storia e magia – Quarta parte
Diario di viaggio: in India tra storia e magia – Quinta parte
Bene, ora vi consigliamo di allacciare le cinture e partire di nuovo alla scoperta dell’India con la sesta parte del diario. Buona lettura!
Taj Mahal (parte I)
Il suono della sveglia mi fa trasalire. Sono le prime ore del mattino, è un nuovo giorno a Delhi. Ora riesco quasi a non far caso ai tappi per le orecchie e la mascherina che sono costretta a mettere pur di dormire e sopperire al frastuono del traffico notturno e all’assenza di buio nella stanza. Ormai io e Giovanni ci intendiamo, ha capito (questo è ciò che credo) che non deve portarmi dai suoi amici bottegai e che è pressoché inutile continuare a chiedermi mance.
Dopo un’abbondante colazione e aver sistemato l’unico bagaglio mi ritrovo di buonora nella hall dell’albergo. Un gran chiasso proviene da fuori, gruppi numerosi di ragazzini con la divisa scolastica fanno una fragorosa parata per le strade della Vecchia Delhi. Il receptionist dal sorriso più cordiale del mondo mi spiega che oggi è il giorno dell’Indipendenza Indiana.
Di lì a poco mi ritrovo in macchina di Giovanni, ho la sensazione che l’abbia fatta pulire, il che non guasta considerando che mi aspetta un bel viaggetto. Dopo ore su strade costeggiate da mucche che si cibano di tutto (spazzatura compresa) e brevi pause in aree di sosta abbandonate dal mondo, arriviamo nel prossimo hotel. Giovanni sarà con me fino al mio rientro in Delhi, ma non alloggia mai nei miei alberghi, non mi dirà mai dove va. L’albergo è pulitissimo, il personale cordiale, non manca niente se non il tempo di godersi un po’ di calma. Quando arriviamo è già ora di pranzo, Giovanni mi propone un buon posticino turistico e con specialità del posto a due passi dalla mia prossima tappa. Ho così fame e talmente tanta voglia di perdere il minor tempo possibile in chiacchiere che acconsento subito. Il ristorante è una sola stanza, oltre me pochi tavoli da 4 e una grossa tavolata di studenti francesi. Biondi e rumorosi sembrano non rendersi conto della fortuna di essere in gita in posto così magico. Il pranzo è squisito ma ho voglia di andare via. All’uscita Giovanni mi ha teso un tranello. Dovevo aspettarmelo, anche in questa regione ha le sue conoscenze! E’ accompagnato da un ragazzo alto e moro che dice di essere la mia guida sul posto e di essere stata già pagata dal mio albergo in Delhi. Capisco subito che c’è qualcosa che non va, ricordo bene per quali servizi ho pagato e non è prevista una persona oggi. Sotto un sole opaco e 43gradi vedo Giovanni andare nel panico e vedersi sfumare la sua super mancia mentre suda la sua terza camicia giornaliera e l’altro ragazzo ammettere di non essere stato pagato solo dopo diversi tentativi e miei toni poco ragionevoli. Il ragazzo, per scusarsi, mi dice che è davvero una guida e che vuole darmi alcuni consigli: porta con te nello zaino lo stretto indispensabile, 5 cose non possono entrare: cibo, medicine, tabacco, carte da gioco. Ringrazio e salgo sul tuk-tuk che mi porta davanti ad una fila immensa, oltre la quale mi attende una delle sette meraviglie del mondo.
In realtà le file sono due, divise per sesso. Noi donne facciamo due controlli, uno accerta l’acquisto del ticket e l’altro..non riesco a vedere di cosa si tratta! C’è una tenda color verde militare, è lì che entrano tutte, una per volta. In un baleno arriva il mio turno, una donna dallo sguardo severo mi fa segno di entrare, scosto la tenda e trovo un’altra donna gentile che con gesti meccanici mi ordina di alzare le braccia e mi perquisisce. Immagino quanto noioso sia quel lavoro ma allo stesso tempo quanto sia importante per loro! I controlli non finiscono qui. Un lungo bancone alto almeno un metro e mezzo vede militari donne e uomini con i mitra capeggiare la pedana. Controllano gli zaini, anche in questo caso solo le militari donne si permettono di chiedere le borse delle signore. E tac! Sta per succedere qualcosa! Lo capisco da come la donna alza le sopracciglia e fa segno ad un uomo col mitra di venire a controllare. Avviene tutto velocemente tanto che non riesco a fare un excursus mentale di ciò che porto nello zaino.
L’oggetto di interesse è un sacchetto di frutta secca. Il tipo, senza mai aprire il sacchetto trasparente, l’osserva e lo tocca quasi come se nascondesse qualcosa di illecito. E’ così convinto che inizio ad avere dubbi sulle proprietà benefiche dei semi di zucca. Gli spiego che ci faccio merenda, che quella roba si mangia e lì per lì non ricordo come dire zucca in inglese. Mentre la fila scorre io vedo sempre più lontano il mio ingresso nel complesso, l’uomo col mitra fa una piccola riunione con un altro suo simile e alla fine acconsentano a lasciarmi portare i semi “MA NON APRIRE IL SACCHETTO ALL’INTERNO DEL PARCO. NON SI DA’ DA MANGIARE ALLE SCIMMIE”. Non faccio in tempo a mormorare i “grazie, grazie, grazie” che la donna tira di nuovo su le sopracciglia! Ommiodio, cos’altro non va? Sta visita non sa’ da fare! Questa volta il militare diventa furioso, non transige, grida alla donna militare perché sa bene di non poterlo fare con me. Cos’ho lì dentro di così malvagio?? Tre parole e un’abitudine sbagliata sono la risposta: carte da gioco. Il cartello alle mie spalle dice in tre lingue diverse che è assolutamente vietato introdurre le carte da gioco. OPS. Dovrebbero mettere il cartello fuori, prima della fila, invece di far infuriare ogni volta quest’uomo magro e brutto. Penso che la guida poco fa mi aveva avvertita, e che ho beccato due divieti su 5, niente male, Veronica! Va bene, gli dico, le lascio, anche perché il suo mitra vince senza dubbio sulle mie carte napoletane. Mi accompagna ad un grosso bidone nero (mi arriva alla vita) e in indiano mi dice che devo buttarle io perché lui non può. Ringrazio la lingua dei segni, credo che nel frattempo gli intenerisco il cuore perché aggiunge che potrei riprenderle all’uscita (dal bidone dell’immondizia, intende), ma non può proprio lasciarmi entrare con quelle. Me ne faccio una ragione, e sentendomi graziata per ben due volte monto in spalle lo zaino e mi dirigo verso di lui, maestoso e bianco Taj Mahal.