Terre con bellezze paesaggistiche e culturali inimmaginabili, purtroppo non conosciute come meriterebbero essendo al di fuori dei programmi turistici standard.
Canossa e Matilde: due nomi indissolubilmente legati la cui fama ha superato indenne l’oblio del tempo, anzi pare l’abbiano annullato tanto sono vivi e presenti nel quotidiano di quell’area tra Reggio, Modena, Parma e Mantova in cui ancor oggi sono centinaia le imprese e le attività intitolate alla Contessa e al più famoso dei suoi castelli a indicare come siano entrati a far parte del dna di quelle popolazioni.
Canossa e il sistema di castelli, fortificazioni e vedette che si sviluppava – nel momento di massimo splendore – su quel tratto dell’Appennino toscoemiliano erano in realtà il cuore di una contea vastissima che si estendeva dalle Alpi Bresciane all’Alto Lazio e dal Tirreno all’Adriatico comprendendo Toscana e in parte Liguria, Emilia, Romagna, Lombardia e Veneto e controllava tutti i valichi che dal Nord portavano a Roma. Situazione strategica quindi mai importante che rendeva l’amicizia di Matilde indispensabile: unica alternativa la guerra, ma non era facile vincere la contessa – che tra l’altro aveva anche ottime doti di stratega – come sperimentò sulla propria pelle Enrico IV. Terre con bellezze paesaggistiche e culturali inimmaginabili, purtroppo non conosciute come meriterebbero essendo al di fuori dei programmi turistici standard che troppo spesso non vanno oltre le classiche città d’arte o le località (al mare o in montagna) la cui fama internazionale è consacrata da tempo. “Italia minore” è l’autolesionistica espressione con cui spesso molti ‘soloni’ e operatori turistici si riferiscono a queste località, ignorando che più della metà dei nostri tesori artistici e culturali è custodito in quest’Italia e conservato grazie alla buona volontà e allo spirito di sacrificio degli abitanti, sempre molto orgogliosi dei propri tesori.
È un’Italia che si sta scoprendo anche grazie al turismo enogastronomico il quale porta buongustai e appassionati in località spesso sconosciute e il turista si riscopre ‘viaggiatore’ e ritrova quelle emozioni di cui la sovraesposizione mediatica delle solite – anche se bellissime – mete lo ha privato. Non è un turismo ‘di corsa’, ma un turismo ‘slow’ in cui si scoprono borghi e pievi sparsi sulle colline e nelle campagne, occasione per entrare nello spirito delle popolazioni, conoscerne storia e tradizioni e capire meglio ciò che si ammira.
È il turismo dell’intelligenza e delle sorprese. Rientra in quest’ottica l’area appenninica che fu il cuore del feudo di Matilde. Tutti o quasi conoscono l’evento storico, ma già la localizzazione esatta di Canossa e l’epoca in cui i fatti avvennero sono per molti motivo di incertezze. Alle Terre matildiche si accede sia da Parma, sia da Reggio raggiungendo attraverso un affascinante scenario di boschi e di calanchi (rocce calcaree e arenarie prive di vegetazione e con la tipica ‘formazione a denti di sega’) quei castelli che videro passare tra le proprie mura Papi e Imperatori, la storia e la politica di quasi un secolo e che – nonostante l’ingiuria del tempo – emanano tuttora un fascino arcano.
I castelli (tutti rivolti verso la pianura) e l’alta linea delle vedette che li collegava avevano il duplice scopo di proteggere dalle invasioni dal nord e di essere monito contro le tentazioni delle popolazioni appenniniche gelose delle proprie autonomie. Un itinerario ricco di suggestioni si sviluppa da Parma lungo la Valle dell’Enza. Il percorso in cui castelli e vedette si stagliano sopra le rocce appenniniche fa riflettere sull’impressione che doveva suscitare in chi (amico o nemico) in quegli anni lontani viaggiava a piedi o a cavallo. E allora come oggi le piccole e semplici pievi disseminate lungo il cammino offrivano momenti di serena riflessione. Partiti da Parma, si incontra ben presto Montecchio, il principale paese della media Val d’Enza.
La sua storia è antichissima: risale al periodo neolitico come testimoniato da numerosi ritrovamenti archeologici, cui si aggiungono i reperti di epoca romana, longobarda e medievale facendone un centro in cui sono concentrati millenni di storia dell’uomo. Bello il centro storico definito dalle mura quattrocentesche ancora parzialmente esistenti. Il Castello di Montecchio (nei cui sotterranei è visitabile una precedente necropoli carolingia risalente ai secoli VIII – X) – che insieme al dirimpettaio Castello di Montechiarugolo aveva funzione di controllo del fiume Enza al confine tra Reggio e Parma – è una delle più interessanti strutture militari di epoca matildica e la sua posizione strategica diete origine a ulteriori interventi di fortificazione nei secoli successivi. Parte delle costruzioni duecentesche sono tuttora visibili.
Dall’altra parte dell’Enza Montechiarugolo conserva quasi inalterata la sua struttura medievale raccolta intorno alla Rocca: quella oggi visibile non è la matildica (finita nel fiume), ma risale al 1313. Lasciato alle spalle il Castello di Montechiarugolo, risalendo il corso dell’Enza, – a pochi chilometri da Canossa – si trova un altro interessante centro fortificato: San Polo d’Enza. Anche qui vi sono antichissime testimonianze di insediamenti umani (pare dell’età del bronzo).
Da vedere, oltre all’insediamento etrusco di Servirola, la Pieve romanica di Caviano (del 980) precedente al Castello che comunque esisteva nel 1092 essendo stato scelto da Enrico IV come base per lanciare l’attacco a Canossa. Superati Neviano degli Arduini e la bella Pieve di Sasso, il cui ottimo stato di conservazione fa rivivere la fede ai tempi di Matilde (affascinante la rievocazione storica in costume generalmente programmata l’ultima domenica di luglio), si è ormai nel cuore sia del paesaggio tipico dell’Appennino sia delle terre matildiche.
Dopo aver ammirato in località Selvapiana due ‘chicche’ che meriterebbero una maggiore popolarità: il Tempietto del Petrarca, (peraltro costruito nel 1839 e anni successivi) e la Riserva Naturale della Rupe di Campotrera, si giunge a Ciano d’Enza e da lì al Castello di Canossa. Tuttora affascinanti i ruderi che sorgono in cima a una millenaria rupe bianca di arenaria.
La sua eccezionale posizione strategica ne fece un caposaldo del sistema difensivo matildico: era infatti possibile con segnalazioni visive collegarsi a tutti i castelli e le vedette del feudo. Secondo la leggenda la struttura originaria sorse nella prima metà del X secolo per volere di Sigifredo da Lucca ivi condotto da una cerva durante una battuta di caccia. Purtroppo il tempo e gli uomini – di molto più dannosi del tempo – hanno fatto pervenire solo poche tracce delle mura meridionali e della cripta del tempio di Sant’Apollonio, sufficienti tuttavia a far comprendere l’imponenza della struttura.
Il castello, molto ampio, comprendeva zone separate per funzione: a sud l’area religiosa con chiesa e convento, a nord il settore più propriamente difensivo e al centro protetta dal mastio l’area residenziale. Quest’ultima sorgeva dove attualmente vi è il Museo Naborre Campanini che contiene materiale informativo, testimonianze e reperti recuperati negli scavi effettuati a partire dal 1878. Naturalmente non manca la rievocazione storica in costume con oltre 500 figuranti – particolarmente affascinante per la località in cui si svolge – programmata generalmente per la prima domenica di settembre e che meriterebbe una maggiore conoscenza: in Nazioni a noi vicine rievocazioni di minore suggestione e certezza storica hanno risonanza internazionale grazie a una politica di promozione turistica che non privilegia le solite mete.
Abbandonata Canossa, s’impone una visita alla vicina roccaforte di Rossena (affiancata dalla torre segnaletica di Rossenella) che fornisce l’idea di come era strutturato un castello militare (infatti a differenza di altri non è mai stato trasformato in palazzo residenziale) formato da un mastio iniziale – inglobato poi in una cinta quadrilatera – e dai successivi ampliamenti. Abbandonato quest’affascinante esempio di architettura militare, la meta successiva è Quattro Castella – grazioso comune incastonato tra le vette dell’Appennino, dominato dall’austero Castello di Bianello – da cui si gode un magnifico panorama sulla pianura.
Il Castello di Bianello (l’unico rimasto integro dei quattro castelli che hanno originato il nome del comune e che a maggio ospita un interessante concorso dedicato al Lambrusco Reggiano doc) insieme con quelli di Monte Vetro, Monte Lucio e Monte Zane costituivano la prima linea difensiva verso la pianura. Fu residenza di Matilde – nelle sue sale nel 1111 la Contessa fu incoronata ‘vice regina d’Italia’ da Enrico V, figlio di quell’Enrico IV da lei umiliato a Canossa – e dei suoi discendenti fino al 1742. Segno della profonda religiosità di Matilde sono non solo la graziosa chiesetta della Madonna della Battaglia fatta erigere poco lontana dal Castello di Bianello in seguito alla vittoria del 1092 sugli eserciti imperiali, ma anche le molte Pievi sparse sul territorio per assecondare e incrementare la religiosità del popolo, tra queste notevole la bella Abbazia di Marola con annesso seminario.
Marola è una delle località turistiche più significative della collina reggiana, ma è conosciuta soprattutto per l’Abbazia fatta costruire da Matilde tra il 1076 e il 1092. Più volte rimaneggiata nel corso dei secoli, è tornata alla struttura primitiva con i restauri iniziati nel 1955. Sarà per la serenità e la bellezza dell’ambiente, ma la spiritualità tuttora pervade la zona se poco distante, a Votigno (borgo ricostruito nella pietra locale), è sorto un centro buddista: un angolo di ascetismo orientale nel cuore del ‘bien vivre’ emiliano.
Percorrere questo tratto d’Appennini, specie se si abbandonano le strade più trafficate, è come fare un salto nel tempo di qualche centinaio di anni e ritrovarsi con un po’ di fantasia protagonisti della storia europea dell’alto Medioevo: un esempio tra tanti è il Castello di Carpineti (o delle Carpinete) – una delle dimore preferite da Matilde – che dalla vetta del monte Antognano domina le valli del Tresinaro e del Secchia e protegge l’omonima città muraria. Suggestivi i resti delle sue mura perimetrali con tracce visibili dei maggiori fabbricati e con l’adiacente chiesa romanica di Sant’Andrea: insieme al ‘dongione’ e alla salita al ‘mastio’ offrono un affascinante percorso museale.
Per quasi mezzo secolo il Castello di Carpineti (le cui prime strutture risalgono al X secolo) fu al centro del mondo cristiano, guadagnandosi il nome de ‘l’altra Roma’: infatti durante la ‘lotta per le investiture’ tra Papato e Impero fu sicuro rifugio per molti uffici papali e fu sede del ‘Convegno di Carpineti’ indetto da Matilde nel 1092 per discutere la grave situazione politica con vescovi, abati, notabili e consiglieri. Dal 1978 è di proprietà della provincia di Reggio che vi ha effettuato notevoli lavori di restauro.
Le terre matildiche sono un territorio ricco di cultura e in ogni altro Paese (a cominciare dalla vicina Francia) sarebbero meta privilegiata di turismo da tutto il mondo, invece da noi rientrano in quella splendida ‘Italia minore’ spesso sconosciuta agli stessi Italiani. Dopo aver gratificato lo spirito con pievi, castelli, palazzi, opere d’arte, chiese, testimonianze archeologiche… occorre fare altrettanto con il corpo che se non sostenuto in modo adeguato mette in crisi anche lo spirito: siamo in Emilia e c’è solo l’imbarazzo della scelta, ovunque la gastronomia è eccellente, anche se diversa da quella sontuosa della pianura. Qui è nato – forse proprio ai tempi della Contessa – il Parmigiano Reggiano, evoluzione dell’antico Formadio, e ancora oggi nelle valli dell’Enza e del Secchia si trovano i ‘caselli’ più pregevoli. A pochi km dal Castello di Montecchio si può visitare il piccolo caseificio storico di Aiola in cui a volte le forme di parmigiano sono cotte sul fuoco a legna come un tempo.
Anche le paste ripiene sulle pendici appenniniche assumono caratteri diversi: sono minuscole, i cappelletti ad esempio piccolissimi. Altre specialità sono i tortelli di patate (le patate sono molto usate nelle zone povere) conditi con burro o con il soffritto di lardo, e di castagne (anche questo alimento tipico della montagna). Tra i piatti tradizionali sono da cercare e assaggiare una speciale versione dell’Erbazzone (sfoglia farcita con spinaci, lardo e parmigiano reggiano) che si trova nei paesi di montagna e i cassaghèi, antica ricetta a base di fagioli in umido e polenta. Il tutto annaffiato dall’ottimo Lambrusco Reggiano doc, dal Bianco secco Colli di Scandiano o Canossa doc.
Testo di Salvatore Longo