La grande Croce sagomata e dipinta a tempera e oro su tavola da Ambrogio Lorenzetti, databile al 1328-1330, fa parte della raccolta della Pinacoteca Nazionale di Siena (inv. 598). E’ stata oggetto di un complesso restauro, durato dal maggio 2020 al giugno 2023. L’intervento, condotto da Muriel Vervat e diretto da Stefano Casciu, è stato reso possibile grazie al contributo di Friends of Florence che ha accolto la proposta della Direzione regionale musei della Toscana, all’epoca competente per la Pinacoteca di Siena, divenuta poi autonoma nel 2022.
Il dipinto si trovava in antico nel convento di San Niccolò del Carmine. A causa dell’infiltrazione di acque piovane all’interno dell’edificio l’opera aveva subito numerose e gravi cadute di colore che hanno interessato il corpo del Cristo e la decorazione dorata del fondo, risparmiando il volto, protetto dall’aureola a rilievo.
L’opera era stata restaurata tra il 1953 e il 1955 dall’Istituto Centrale del Restauro, allora diretto da Cesare Brandi: in tale occasione furono rimosse le ridipinture antiche che interessavano tutta la superficie e fu deciso, in coerenza con le teorie del tempo, di non integrare le grandi lacune, lasciando a vista il supporto ligneo e la tela di incamottatura grezza.
La mostra monografica su Ambrogio Lorenzetti, svoltasi a Siena tra il 2017 e il 2018, ha fatto emergere la necessità di recuperare una lettura migliore della Croce: Cristina Gnoni, allora direttrice della Pinacoteca Nazionale, propose quindi a Friends of Florence di finanziare il nuovo intervento, progettato da Muriel Vervat.
Il restauro attuale ha offerto quindi l’opportunità di riconsiderare criticamente la scelta di lasciare a vista il legno di supporto, soluzione legata al pensiero metodologico degli anni Cinquanta, allora innovativo, ma oggi penalizzante per un corretto apprezzamento dell’opera.
Con questo restauro abbiamo rilevato l’eredità di quel pensiero teorico e pratico, consapevoli che per valorizzare un’opera d’arte si debba sempre passare per nuovi atti di coraggio e di analisi critica, senza fare tabula rasa del passato, ma analizzando le situazioni conservative ed estetiche attuali dell’oggetto, e individuando nuove soluzioni per valorizzare l’originale (in questo caso la pittura di Ambrogio Lorenzetti), con una attenzione anche all’evoluzione nella percezione delle opere d’arte.
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L’intervento di restauro
L’intervento è stato preceduto da un articolato programma di indagini scientifiche, a cura dell’IFAC-CNR e ISPC–CNR di Firenze che oltre ad essere stato un prezioso sostegno per il progetto di restauro, ha permesso di approfondire la sofisticata tecnica pittorica di Ambrogio Lorenzetti.
La croce, che ha uno spessore di cm 4,5 e che è in legno di pioppo secondo la tradizione toscana, è rivestita da una tela di incamottatura e da due strati di gesso, il primo più spesso e il secondo più sottile, come prevede il metodo antico descritto anche da Cennino Cennini.
Il supporto ha subito delle alterazioni e l’opera è mutila di alcuni elementi fondamentali, come la cimasa, i terminali laterali con le figure dei Dolenti e la base di appoggio che probabilmente presentava il Golgota o il teschio di Adamo. La larga ed elaborata cornice dorata è quella originale, caratterizzata da una doppia modanatura ornata lungo i bordi da un raffinato motivo ad archi intrecciati, incisi e dipinti.
L’analisi stratigrafica ha evidenziato, tra i vari aspetti, la modalità di stesura del sangue che scorre dalle ferite di Cristo, eseguito con due tipi di rosso: uno di base, più corposo e ricavato dal cinabro, al quale si sovrappone uno strato più scuro e brillante in lacca rossa, ottenuta col rosso kermes, un pigmento prezioso, più costoso dell’oro, che è segnale evidente di una committenza di rilievo.
I punti salienti di questo restauro sono state le scelte da operare sul trattamento del fondo oro e su quello delle grandi lacune che interessano il corpo di Cristo.
Il fondo dorato della croce, che imita un tessuto riccamente ornato, riveste un valore importante poiché presenta non solo una preziosa decorazione, ma anche una sofisticata riflessione da parte di Ambrogio sulla diffusione della luce. Questo valore è oggi meno evidente perché la luce elettrica permette di godere nitidamente di ogni dettaglio di un’opera, ma all’epoca di Lorenzetti, quando la Croce era esposta in chiesa, l’illuminazione era data solo dalla luce naturale che filtrava dalle finestre, modificandosi nell’intensità e nella direzione a seconda delle ore del giorno, e dalle fiamme delle candele. Queste fonti di luce davano alla materia pittorica una luminosità viva e mutevole che metteva in valore la plasticità dell’anatomia dipinta del corpo di Cristo, dove i punti di maggiore rilievo sono le spalle e le ginocchia.
Il tessuto dipinto e dorato del fondo, come un cuoio lavorato a bulino con figure geometriche, appariva molto danneggiato. Si è scelto di colmare tutte le lacune con un impasto composto di gesso e colla animale per ridare un’unità planare alla superficie.
Studiando il complesso disegno della decorazione ci siamo resi conto che le figure erano state realizzate con il compasso, formando dei moduli simmetrici speculari tra i due lati del corpo di Cristo, e che era possibile congiungere le linee perdute dei cerchi, incidendo il nuovo gesso con un compasso come in antico, senza forzature né invenzioni. In quei punti, per distinguere chiaramente le parti reintegrate dalla doratura originale, si è dapprima riprodotto il colore rosso del bolo con la tempera, usando la tecnica della selezione cromatica, completando poi l’intervento riproponendo la doratura con oro in polvere sintetico, applicato con la stessa tecnica a selezione.
La pulitura ha fatto anche riemergere, in modo del tutto inaspettato, il legno dipinto della vera e propria croce sulla quale è inchiodato il Cristo e che, con la sua tonalità rosea e le venature ad imitazione naturalistica del legno, crea un forte e studiato contrasto con la preziosa decorazione del tessuto geometrico del fondo.
L’altra importante decisione metodologica ed esecutiva da prendere era quella relativa al trattamento delle numerose lacune, operazione fondamentale per ridare voce all’intenzione poetica e artistica di Ambrogio Lorenzetti e per valorizzare e restituire il valore narrativo della materia pittorica originale.
Molte lacune sulla figura di Cristo potevano essere chiuse con facilità, ovvero portate a livello della superficie originale circostante e integrate con il metodo della selezione cromatica, semplicemente ripristinando quella continuità perduta, laddove le integrazioni non ponevano problemi di interpretazione. Questi collegamenti, accompagnati correttamente con un intervento di restauro pittorico rispettoso dell’originale, senza operare falsi né forzature, restituiscono all’osservatore la possibilità di una vitale comprensione delle forme, della composizione e delle idee originali del pittore, nonché della preziosità ed eleganza dell’esito finale voluto da Ambrogio Lorenzetti, tutti aspetti che prima del restauro erano difficili da apprezzare.
Anche la grande lacuna che attraversa verticalmente il corpo di Cristo, caratterizzata da una notevole perdita di materia pittorica, è stata risolta, con delicatezza e rispetto dell’originale, per mezzo della tecnica della selezione cromatica: il colore aggiunto si distingue dalla pittura originale per la tonalità più chiara, ma evoca, nelle diverse aree, le tinte dell’incarnato o quelle del perizoma senza inventare volumi o dettagli che risultavano definitivamente perduti.
Solo per quanto riguarda le mani del Cristo è stata portata avanti una ricostruzione che allude maggiormente alle forme perdute, ma sempre con la tecnica della selezione cromatica. Riteniamo infatti che per l’importanza della leggibilità complessiva dell’opera e anche del messaggio religioso e artistico, in accordo anche con la sensibilità odierna, questo fosse un intervento necessario. Come tutti gli interventi del restauro, in ogni caso, anche queste ultime integrazioni sono completamente riconoscibili e reversibili.